Due settimane fa, Gheddafi era un “cadavere politico”. Ma i suoi appelli hanno convinto Medvedev a dargli un'altra possibilità

Così la riscossa del colonnello conquista alleati al Cremlino

Luigi De Biase

La diplomazia americana lavora per chiudere in fretta la guerra civile della Libia e portare la transizione democratica a Tripoli e Bengasi. Il capo della Casa Bianca, Barack Obama, valuta due possibilità: da una parte c'è la “no fly zone”, dall'altra l'intervento umanitario. Anche la macchina della Nato è in movimento. radar dell'Alleanza controllano da due giorni gli aerei che sorvolano la Libia e c'è un piano per trasportare migliaia di civili fuori dal paese con un ponte aereo uguale a quello messo in pratica la scorsa estate in Pakistan.

    La diplomazia americana lavora per chiudere in fretta la guerra civile della Libia e portare la transizione democratica a Tripoli e Bengasi. Il capo della Casa Bianca, Barack Obama, valuta due possibilità: da una parte c'è la “no fly zone”, dall'altra l'intervento umanitario. Anche la macchina della Nato è in movimento. I radar dell'Alleanza controllano da due giorni gli aerei che sorvolano la Libia e c'è un piano per trasportare migliaia di civili fuori dal paese con un ponte aereo uguale a quello messo in pratica la scorsa estate in Pakistan. In questo caso, il controllo delle operazioni sarebbe affidato al Joint Force Command di Napoli. L'ostacolo più grande all'inizio delle grandi manovre viene dalla Russia, l'unico paese del Consiglio di sicurezza dell'Onu che si è opposto con fermezza allo sbarco in Libia. Senza l'avallo delle Nazioni Unite, pochi sono disposti ad avventurarsi sulle coste della Cirenaica quanto su quelle della Tripolitania.

    Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, lo ha detto chiaramente lunedì pomeriggio: “Non vediamo alcun intervento esterno come mezzo per risolvere la crisi in Libia, tantomeno se a carattere militare – ha commentato – I libici devono risolvere da sé i loro problemi”. Sulla carta, le parole di Lavrov fermano un dibattito che coinvolge i più alti rappresentanti della diplomazia internazionale, ma alcuni analisti sostengono che il ministro abbia appena dato il via alle trattative. Il dossier potrebbe essere discusso oggi a Mosca, durante l'incontro fra il vice di Obama, Joe Biden, e il presidente russo, Dmitri Medvedev.

    Vista dal Cremlino, la crisi è un affare che riguarda Gheddafi e i suoi oppositori. La Russia ha già fatto quanto era in suo potere per convincere il colonnello a trovare una via d'uscita vantaggiosa: alla fine di febbraio ha sostenuto le sanzioni dell'Onu nei confronti del rais e del suo clan, una decisione che ha avuto conseguenza per l'industria russa. Secondo Sergei Chemezov, il direttore dell'agenzia di stato che controlla le esportazioni militari, l'embargo sulla vendita di armi alla Libia ha già prodotto perdite per quattro miliardi di dollari. In più, la Russia è legata alla Libia da investimenti nel settore energetico, e la chiusura degli impianti petroliferi dovuta ai combattimenti non è certo una buona notizia per un paese che ha fondato la propria economia sulle risorse minerarie. “Siamo sicuri che il governo della Libia prenderà sul serio la risoluzione e fermerà al più presto le violenze”, ha detto Lavrov poco dopo il voto all'Onu. Il problema è che la crisi non è ancora finita, il colonnello ha risposto agli attacchi dei ribelli e ora cerca di portare l'assedio ai loro fortini. In queste ore le truppe del rais si avvicinano a Sirte per lo scontro decisivo con gli insorti. L'esito della battaglia fornirà a molte diplomazie gli elementi su cui basare la loro posizione rispetto alla guerra civile. Quella russa non si muove considerando soltanto gli interessi che sono in gioco oggi, quanto sulla prospettiva: chi ha più possibilità di uscire vincitore da questo scontro?

    Gli analisti di Mosca hanno cambiato più volte opinione da quando è cominciata la crisi. Qualche settimana fa, una fonte del Cremlino ha parlato di Gheddafi come di un “cadavere politico”, la stessa definizione usata per il presidente georgiano, Mikhail Saakashvili. Ma il colonnello ha mostrato di avere ancora la forza che serve per resistere al potere e ha parlato alla comunità internazionale usando un linguaggio molto popolare nei corridoi del potere russo. Per Gheddafi, la vittoria dei ribelli farebbe aumentare il pericolo del terrorismo e il traffico di droga in tutta Europa. Proprio droga e islamismo sono fra i pericoli più grandi e più imminenti per Medvedev e per il suo potente premier, Vladimir Putin. Persino il successo di Gheddafi è meglio dello stallo nel Mediterraneo – o ancora peggio, di una avanzata dei terroristi.