La lavagna è diversa per tutti
La banalità del prof
Al direttore - La buona scuola la fanno i buoni insegnanti, così come la buona sanità la fanno i buoni medici. Non è tutta la verità, ma è pur sempre una bella parte di verità. Ora, alla luce di questa “bella parte di verità” possiamo affermare che la nostra scuola – pubblica – non può essere buona perché non dispone di un corpo insegnanti all'altezza.
Al direttore - La buona scuola la fanno i buoni insegnanti, così come la buona sanità la fanno i buoni medici. Non è tutta la verità, ma è pur sempre una bella parte di verità. Ora, alla luce di questa “bella parte di verità” possiamo affermare che la nostra scuola – pubblica – non può essere buona perché non dispone di un corpo insegnanti all'altezza. E non potrebbe essere altrimenti, considerato l'egualitarismo assoluto che, all'insegna dello scatto d'anzianità e delle basse remunerazioni, per un verso sovraintende al sistema e per l'altro lo ha, almeno fino a oggi, ispirato. Non c'è modo, in un sistema come quello degli studi, che più d'ogni altro dovrebbe stare al passo con il mondo e i tempi per poter rispondere alla sua funzione formativa ed educativa, di non finire globalmente sotto la sufficienza se non si innesca al proprio interno alcun moto emulativo tra gli insegnanti per insegnare meglio, guadagnare di più, fare carriera.
Che il nostro sistema, globalmente considerato, non arrivi alla sufficienza soltanto i più formidabili ipocriti possono continuare a fingere di ignorarlo. Nel momento in cui si va in piazza per difendere la scuola pubblica così com'è (sulla scia della solita battutaccia di Berlusconi), certa parte politica dovrebbe anche spiegare, per onestà intellettuale, com'è che in tutte le valutazioni internazionali i nostri studenti stazionano malinconicamente agli ultimi posti tra gli studenti del mondo. Sarà che manca il personale? Non una volta, infatti, che non arrivi il momento degli “insegnanti che non sono sufficienti”. Un mistero come facciano a esserlo in quasi tutti gli altri paesi europei in cui mediamente ciascun professore ha più studenti che in Italia.
La questione centrale è una soltanto, perché tutte le altre non sono paragonabili. Ed è che senza che si creino correnti emulative, e anche spinte concorrenziali, all'interno del mondo degli insegnanti, stimolate da un quadro normativo-professionale elastico nel quale si possa salire per meriti (e restar fermi per demeriti), e non soltanto per gli anni di insegnamento, non si creano neppure punti di riferimento, modelli di insegnamento, correnti culturali-pedagogiche.
Non a caso la scuola italiana, la più egualitaria al mondo, è quella dove ogni insegnante ha la più ampia discrezionalità di insegnamento e, per così dire, di manovra: se è già bravo tenderà a esserlo un poco di meno col passare degli anni, mentre se non lo è resta sul groppone degli studenti. Col risultato che la nostra scuola è un sistema che non riesce a fare sistema e che non offre né economie né vantaggi di sistema. E infatti le differenze di risultati tra una scuola e l'altra sono enormi tra nord e sud e all'interno stesso delle singole regioni, province, città. Nessuna omogeneità di fondo, nessuno standard accertato. Neppure lo standard della “scuola di sinistra”, se mi consente Berlusconi, in quest'ambito significa granché.
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