Diplomazia di guerra
Parlare con Gheddafi e aiutare i ribelli. I due canali dell'Italia in Libia
L'Italia ha due canali aperti in Libia: il primo è con i ribelli di Bengasi, sfrutta gli sforzi della diplomazia e le prove tecniche d'intervento umanitario; l'altro è con il regime di Muammar Gheddafi, che ha ancora il potere a Tripoli e prolunga l'offensiva contro i ribelli. Allo stesso modo, il colonnello tratta con i clan e con i governi stranieri che ancora gli danno ascolto. Ieri, la nave italiana Libra ha chiuso la propria missione in Cirenaica.
L'Italia ha due canali aperti in Libia: il primo è con i ribelli di Bengasi, sfrutta gli sforzi della diplomazia e le prove tecniche d'intervento umanitario; l'altro è con il regime di Muammar Gheddafi, che ha ancora il potere a Tripoli e prolunga l'offensiva contro i ribelli. Allo stesso modo, il colonnello tratta con i clan e con i governi stranieri che ancora gli danno ascolto. Ieri, la nave italiana Libra ha chiuso la propria missione in Cirenaica. Il pattugliatore è rientrato ad Augusta nel pomeriggio, dopo aver scaricato ventisei tonnellate di aiuti a Bengasi: a bordo c'erano settanta militari e un reporter della tv francese ferito durante un'imboscata. E' stata un'operazione “umanitaria”, come dice il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ma il viaggio ha anche permesso di raccogliere informazioni decisive per interventi più corposi. Proprio ieri il Consiglio supremo di Difesa ha garantito l'appoggio dell'Italia ai piani della Nato, dell'Onu e dell'Ue. La Libra è una nave da guerra, e nessuna nave da guerra può arrivare in Cirenaica senza il via libera del governo libico. Ma le autorità di Tripoli non hanno ricevuto richieste ufficiali questa volta: lo sbarco è stato invece approvato dal Consiglio di transizione, che ha il quartier generale a Bengasi.
Gli italiani non sono gli unici soldati visti nella zona ultimamente. Anche un cargo della marina turca, l'Iskenderun, ha attraccato in Cirenaica la scorsa settimana. A Bengasi non c'è un'emergenza umanitaria vera e propria, tant'è che le due missioni non avevano l'egida dell'Onu o di altri organismi internazionali: per questo, alcuni analisti ritengono che siano servite a testare uno sbarco futuro. La Farnesina dice di avere “contatti eccellenti” a Bengasi, ma esclude la presenza di personale diplomatico sul posto. E' credibile che i rapporti con il leader del Consiglio, Mustafa Abdel Jalil, siano gestiti grazie all'Agenzia informazione e sicurezza esterna (Aise), che ha il compito di sorvegliare gli interessi strategici dell'Italia. Dopotutto, Eni è ancora attiva in Libia – lo ha confermato ieri al Financial Times l'amministratore delegato del gruppo, Paolo Scaroni – anche se la produzione è decisamente calata rispetto allo standard.
Come Eni, l'ambasciata italiana di Tripoli è una delle poche rimaste aperte dall'inizio della guerra civile. Fonti diplomatiche del Foglio assicurano che esiste ancora un dialogo con il governo della Libia, quello di Tripoli, anche se Roma sostiene in modo netto la linea della transizione democratica con gli Stati Uniti e gli altri partner europei. I ministri di Gheddafi hanno offerto il loro aiuto quando è stato il momento di organizzare il rimpatrio dei cittadini stranieri, e oggi si dicono pronti ad accettare il ritorno dei diplomatici europei che hanno lasciato il paese nelle ultime settimane. L'ambasciata italiana avrebbe avuto un ruolo anche nella liberazione dei tre piloti olandesi tenuti in stato di arresto e poi scarcerati dalla polizia nei giorni scorsi.
Ieir il rais ha aumentato il livello degli attacchi contro le città ribelli – Zawiya sarebbe tornata sotto il potere dei lealisti, mentre l'aviazione ha bombardato l'hub petrolifero di Ras Lanuf. Inoltre Gheddafi ha dato un nuovo impulso ai rapporti diplomatici: tre jet hanno lasciato Tripoli intorno a mezzogiorno e sono atterrati al Cairo, Bruxelles e Lisbona. Cruciale il volo del generale Abdel Rahman Ben Ali, che ha portato al Consiglio militare egiziano un messaggio da parte di Gheddafi. Domani il paese ospiterà un vertice straordinario della Lega araba, che potrebbe autorizzare la “no fly zone” sulla Libia.
La trattativa focale, però, è quella che si svolge sul campo di battaglia. Le truppe fedeli a Gheddafi sono passate dai massacri dei primi giorni a operazioni mirate su alcuni obiettivi strategici. Ora cercano di convincere le tribù che controllano le varie città a passare dalla loro parte – anche pagando, secondo la sharia, il “prezzo del sangue” per risarcire i parenti delle vittime. Un esempio di questa logica bellica è stata la conquista di Ben Jawad, che era sotto il controllo dalla tribù degli Hasoony: dopo avere appoggiato i ribelli il clan ha infine concluso un “patto” con le truppe guidate da Khamis Gheddafi.
Allo stesso modo – ma la notizia è negata sia da Gheddafi, sia dal Consiglio – Jadallah Azzouz Talhi ha preso contatti con Bengasi per imbastire un dialogo nel caso in cui la guerra termini non con la vittoria di una della parti, ma con una divisione permanente del paese. La scelta del mediatore fantasma non è stata casuale, perché si tratta del cugino di Jalil, nato a Beida, in Cirenaica, e quindi il più adatto a verificare gli spazi per una hudna, la classica tregua islamica che non chiude le guerre, ma che serve ai combattenti a prepararne al meglio di nuove.
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