Il marchese e la mala información
Marina non è in casa (arriverà più tardi, in una nuvola di delizie e stivali di vernice), ma tutte le cose parlano di lei. Nel salotto dell'appartamento di via Ovidio, in Prati, Carlo Ripa di Meana racconta questa storia di malainformazione e di “nuvole che coprono il sole”in mezzo a ritratti di Marina con gli aquiloni, opere d'arte a forma di Marina, soprammobili di scarpe rosse col tacco alto che evocano Marina, e la galanteria del marito che dopo trent'anni di matrimonio parla della moglie così: “La mia adorabile Marina”.
Marina non è in casa (arriverà più tardi, in una nuvola di delizie e stivali di vernice), ma tutte le cose parlano di lei. Nel salotto dell'appartamento di via Ovidio, in Prati, Carlo Ripa di Meana racconta questa storia di malainformazione e di “nuvole che coprono il sole” in mezzo a ritratti di Marina con gli aquiloni, opere d'arte a forma di Marina, soprammobili di scarpe rosse col tacco alto che evocano Marina, e la galanteria del marito che dopo trent'anni di matrimonio parla della moglie così: “La mia adorabile Marina”.
L'appartamento è bello e in affitto, “la nostra unica proprietà è la casa di campagna che non riusciamo a vendere”. Invece pochi giorni fa il Corriere della Sera e il telegiornale di La7 hanno inserito Carlo Ripa di Meana nelle misere figure di Affittopoli e delle case comprate o affittate a prezzi sfacciatamente bassi. Una casa vicino alla Fontana di Trevi, 325 metri quadrati, acquistata in qualità di presidente di “Roma caput mundi”. Non era vero ma nessuno ha verificato, e il giorno dopo la faccenda è stata liquidata in due righe in un nuovo articolo: il presidente di Roma Caput Mundi non era Carlo Ripa di Meana, ma suo fratello Vittorio (deceduto nel 2008). “Una smentita che conferma la notizia, un rigo ambiguo e nessun mi dispiace, nessuna correzione: ora io girerò con quest'ombretta addosso per tutto il tempo necessario ad avere soddisfazione di uno sbaglio effettuato senza nemmeno prendersi l'incomodo di chiedere scusa”.
A Carlo Ripa di Meana dispiace moltissimo, “perché in vita mia ho tenuto molto ad alcune norme importanti: non fottere il prossimo e non strisciare con i potenti”. Non fottere il prossimo comprende anche: non fottergli la casa, “e per fortuna molta gente non mi vede come un crostino che fa affari sulle case dei vecchi”. “Io ho ottantadue anni, quindi secondo l'aspettativa di vita media della Repubblica italiana tra un anno me ne andrò e non potrò più difendermi, l'adorabile Marina ne compirà settanta e infatti uscirà il suo libro: ‘I miei primi settant'anni'”. L'adorabile Marina arriva, saluta, assaggia un biscotto, risponde a Carlo che le offre un caffè caldo, poi va a telefonare, battibeccare, abbracciare cagnolini, camminare avanti e indietro dettando lettere e organizzando intere vite, ed è chiaro anche alle tende che quello spumeggiare è un segno di superiorità genetica.
Carlo Ripa di Meana sa che “la casa è dentro le budella degli italiani, è un magone continuo, è il pensiero primario, il mutuo che strangola, e trovo molto ingiusto che sia uscita questa notizia falsa che mi offende”. E' talmente immerso nella volontà di fare piazza pulita di ogni pensiero malizioso che si è dimesso dalla presidenza romana di Italia Nostra, l'associazione per la tutela del patrimonio artistico e naturale, “per rendere l'Italia sacra al mondo”, come disse Giorgio Bassani, di cui si occupa in modo appassionato dal 1967 (le dimissioni sono appena state respinte ma la storia di Italia Nostra è un altro magnifico romanzo che bisognerebbe raccontare). “Forse chi mi ha telefonato voleva che gli dicessi di cercare altrove, voleva che dicessi: è mio fratello – perché dal primo minuto l'ho pensato – ma ‘è mio fratello' io non lo volevo dire, perché lui è morto e non si può difendere”. Emerge adesso un'altra verità, oltre a quella della casa mai vista né posseduta, una verità interna e dolorosa, e Carlo Ripa di Meana, che fin adesso ha parlato in piedi, dicendo che comunque questa battaglia lo diverte perché “è la piccola rivalsa nei confronti di un grande giornale che si muove coi suoi cingoli e a cui non voglio riconoscere nessuna superiorità”, ora si siede su una poltrona dura di legno. “Era il mio fratello maggiore, più vecchio di due anni. Si è dato molto da fare (avvocato di Carlo De Benedetti, e negli ultimi anni amministratore delle Generali, ndr). Questo suo piglio da avvocato d'affari però non legava con la pretesa di essere repubblicano laico e democratico, lamalfiano, potenziale azionista, poi compagno di strada del Pci. La pretesa di voler fare una cosa e l'altra fu l'azzardo. Aveva poi quegli incarichi bancari in cui non si è banchiere ma si decide di vita e morte dei banchieri”.
Secondo Ripa di Meana la società Roma caput mundi, che ha acquistato la casa nel rione Trevi, è una di quelle cose lì, fatte in nome di una tendenza che si affermò negli anni Novanta, quando Alberto Ronchey diventò ministro della Cultura: “Aprire i musei, i bookshop, le caffetterie, vedere l'arte anche (giustamente) come business. Mio fratello era in quel filone, con Antonio Maccanico, e questo forse li ha portati a esagerare”. Ma Vittorio Ripa di Meana è stato un uomo ammirato, celebrato, nessuna onta l'ha sfiorato, qual è il problema? “A un certo punto fra noi si mise una distanza – ricorda sommesso Carlo – lui detestava Marina perché rappresentava tutto ciò che lui trovava sbagliato e scadente, ovviamente sbagliando, e non gli andava giù la mia priorità per la natura. E' morto e io non l'ho visto, non me l'hanno fatto salutare, gli ho scritto, non mi ha risposto ed è andato, ma sono certo che non era una carogna”.
Il Foglio sportivo - in corpore sano