Ecco dati e confronti internazionali che provano l'utilità della riforma
Quanto serve una riforma della giustizia? Buttarla in politica sarebbe sbagliato. Facciamo parlare i numeri. Anzitutto sui tempi processuali: secondo una ricerca dell'Adr Center, in Europa solo la Slovenia fa peggio di noi. Una causa civile dura mediamente 1.210 giorni, contro una media comunitaria di appena 547. I paesi più simili all'Italia stanno nella parte alta della graduatoria: in Francia bastano 331 giorni, in Germania 394 e nel Regno Unito 399.
Quanto serve una riforma della giustizia? Buttarla in politica sarebbe sbagliato. Facciamo parlare i numeri. Anzitutto sui tempi processuali: secondo una ricerca dell'Adr Center, in Europa solo la Slovenia fa peggio di noi. Una causa civile dura mediamente 1.210 giorni, contro una media comunitaria di appena 547. I paesi più simili all'Italia stanno nella parte alta della graduatoria: in Francia bastano 331 giorni, in Germania 394 e nel Regno Unito 399. Peggio ancora, “adire a mezzi legali” ha costi proibitivi: la Banca mondiale stima che, per veder garantiti i termini contrattuali, le imprese debbano sborsare mediamente il 29,9 per cento delle somme contestate, dieci punti percentuali sopra la media Ocse. La situazione è a tal punto patologica, da rappresentare una sistematica violazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, che solo nel 2008 ha imposto un'extra-tassa da 32 milioni di euro in risarcimenti. Paradosso nel paradosso, un processo più lungo e costoso implica una minor propensione ad andare in giudizio, specie per questioni di valore limitato. E, di conseguenza, incentiva le violazioni contrattuali, poiché i “furbi” sanno che rischiano poco.
Interpretare le ragioni di questo fenomeno è complesso. Di certo, la giustizia non è sottofinanziata. Il rapporto “European Judicial Systems” della European Commission for the Efficiency of Justice smentisce le lamentazioni in tal senso. La spesa per abitante è pari a 47 euro per i tribunali e 20 euro per i pubblici ministeri: in linea con la media la prima, nettamente superiore l'altra (in Francia sono 10,4 euro, in Gran Bretagna 14,5 euro). In relazione al pil spendiamo addirittura di più: lo 0,2 per cento per mantenere i tribunali e lo 0,09 per cento per i pm, più del doppio dei francesi e dieci volte gli inglesi. L'unica voce su cui siamo effettivamente sparagnini è il patrocinio per i non abbienti: lo 0,005 per cento del prodotto interno lordo, cioè tra un terzo e un quarto dei nostri vicini. In sostanza, l'Italia è generosa con giudici e pm, ma tirchia coi poveri che vorrebbero accedere alla giustizia.
Un modo irrituale, forse, per limitare il numero delle cause e alleggerire il carico sulla macchina giudiziaria. Che il problema non sia di soldi lo dimostra anche, indirettamente, l'esperienza virtuosa del tribunale di Torino: grazie alla razionalizzazione interna avviata nel 2001, in soli sei mesi le cause ultratrentennali delle sezioni ordinarie sono calate da 2.354 a 1.422, e nelle sezioni stralcio da 5.066 a 1.851. Come spiega Serena Sileoni nel libro “Dopo!” (Ibl Libri), “nel periodo 2001-2005, i tempi processuali sono scesi del 23,6 per cento”.
Dunque, la chiave di volta sta nella migliore organizzazione dell'attività giudiziaria: che può dipendere in parte da una più efficace auto regolazione, ma in parte deve anche trovare corrispondenza nel suo ordinamento. Occorre, cioè, creare incentivi corretti per gli attori del sistema: per esempio separando le carriere della magistratura inquirente e giudicante allo scopo di rimuovere eventuali conflitti di interesse. Va pure detto, a parziale discolpa della magistratura, che la qualità e il numero delle nostre leggi ne rende il lavoro più complesso e dall'esito meno certo. La semplificazione normativa è consustanziale alla riforma della giustizia: senza di essa altri interventi, di per sé corretti, rischiano di generare risultati deludenti.
Il fatto stesso che, al minimo spirare di un'aria di cambiamento, si osservino reazioni corporative e chiusure, con i magistrati che difendono i loro interessi di casta al pari di tassisti e avvocati, è in fondo un segnale di quanto sia urgente incidere in profondità. Le proposte del governo possono essere appropriate o no, ma nessuna riforma è la peggior riforma.
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