Il ritorno della politica è possibile, e anche a sinistra c'è chi lo vuole
Il ritorno della politica è possibile, e nella sinistra italiana non eterodiretta, non tenuta al guinzaglio in forme ormai grottesche dalla lobby di Repubblica, c'è chi lo vuole, lo desidera ardentemente, senza per questo rinunciare, e ci mancherebbe, all'esercizio di un ruolo di opposizione.
Il ritorno della politica è possibile, e nella sinistra italiana non eterodiretta, non tenuta al guinzaglio in forme ormai grottesche dalla lobby di Repubblica, c'è chi lo vuole, lo desidera ardentemente, senza per questo rinunciare, e ci mancherebbe, all'esercizio di un ruolo di opposizione. Su un piccolo giornale fragile come il Riformista, ma libero e non rassegnato al silenzio della ragione, un giovanissimo e onesto direttore, Stefano Cappellini, ha scritto ieri di aver accolto come un depressivo le dichiarazioni banali e propagandistiche, purtroppo prevedibili e alla fine autolesioniste, con cui Pier Luigi Bersani, capo del Pd, si è affiancato al partito dei pm (quello approdato in Parlamento con Di Pietro e quello che indossa ancora la toga) per escludere qualunque dialogo nel merito di temi riformatori come la separazione delle carriere; la creazione di due Consigli superiori della magistratura, uno per chi indaga e sostiene l'accusa e l'altro per chi deve giudicare da posizioni terze; la responsabilità civile dei magistrati che prevarichino dolosamente i diritti dei cittadini, da stabilire nella stessa forma in cui è prevista per ogni altro funzionario dello stato. Sono “proposte che, a nostro giudizio, dovrebbero essere patrimonio fondante dei democratici italiani”, scrive il direttore del Riformista, aggiungendo che fa “tristezza sentire parlamentari che parlano come se fossero portavoce dell'ala ultrà dell'Associazione” sindacale dei magistrati. La conclusione è una pesante stroncatura del solito non possumus motivato con quello che Cappellini, per niente tenero con il presidente del Consiglio e non meno militante dei democratici nell'opposizione al governo, definisce “l'alibi di Berlusconi”. Il ritorno della politica non è la rinuncia a un sano e forte bipolarismo fondato sull'alternativa di governo da costruire partendo dal più forte partito di sinistra, ma appunto l'esercizio della politica nel bipolarismo, in modo da far funzionare le Camere, dovere istituzionale, e costruire nel paese le condizioni di un ricambio basato sulla ragion politica invece che sulla spazzatura mediatica.
La riforma della giustizia, che Angelino Alfano ha proposto al Consiglio dei ministri e illustrato al capo dello stato, può essere l'asse intorno a cui far ruotare una svolta utile al paese, dopo mesi di ubriacatura scandalistica. Le basi culturali e civili ci sono. Nella cultura giuridica della sinistra esistono ormai, a quasi vent'anni dalla stagione forcaiola, posizioni garantiste e riformatrici sul giusto processo, sull'obbligatorietà troppo selettiva e arbitraria dell'azione penale, sulle carriere osmotiche di giudici e pm. Il Foglio ne dà conto ogni giorno. Da Luciano Violante in giù, si tratta di nomi importanti e significativi. Che una concezione belluina del conflitto non deprima questa tensione alla restaurazione di un clima civile, più che un auspicio, dovrebbe essere un compito politico, svolto con sincerità di testa e lucidità, da Alfano, da Berlusconi e dall'intera classe dirigente del paese.
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