Ecco come si spiega nel Pd l'inaspettata simpatia per “l'abilissimo Alfano”
Qualcosa è cambiato nei rapporti tra il Pd e Angelino Alfano, nella valutazione del ministro e delle sue capacità politiche si segnala un upgrading non solo per via dell'apprezzamento filtrato dal Quirinale, e sottolineato dal Foglio. La conferenza stampa di giovedì con il premier al fianco ha avuto un suo sapore epifanico per il partito di Bersani sensibile alle questioni di leadership anche in casa altrui, in particolare quando si tratta di individuare delfini e proiettarsi nell'oltre Berlusconi. “Il Pd si divide già tra alfanisti e marinisti, nel senso di Marina Berlusconi”, scherzava a caldo un dirigente di area Franceschini.
Qualcosa è cambiato nei rapporti tra il Pd e Angelino Alfano, nella valutazione del ministro e delle sue capacità politiche si segnala un upgrading non solo per via dell'apprezzamento filtrato dal Quirinale, e sottolineato dal Foglio. La conferenza stampa di giovedì con il premier al fianco ha avuto un suo sapore epifanico per il partito di Bersani sensibile alle questioni di leadership anche in casa altrui, in particolare quando si tratta di individuare delfini e proiettarsi nell'oltre Berlusconi. “Il Pd si divide già tra alfanisti e marinisti, nel senso di Marina Berlusconi”, scherzava a caldo un dirigente di area Franceschini. In un titolo di prima pagina sul quotidiano Europa, per la verità poco dialogante almeno per ora sulla giustizia, accanto al nome del ministro è comparso l'aggettivo “abile”. E un bersaniano doc come il responsabile Giustizia Andrea Orlando, più che severo sull'epocale riforma costituzionale, si lascia sfuggire il superlativo: “Abilissimo Alfano”, commenta con il Foglio anche se altri bersaniani ricordano che proprio Alfano un anno fa lasciò cadere le aperture del Pd sulla giustizia dalla bozza Violante a quella Orlando. “Premesso che gli interlocutori politici come i vicini territoriali non si scelgono, mi sembra che Alfano alcune qualità le abbia messe in mostra – osserva Marco Follini – tenta di conciliare la fedeltà al leader con il rispetto delle buone maniere”.
Follini concede con parsimonia al ministro la patente di democristianità antropologica: “Sono uno di quelli che pensa che fra la Dc e il berlusconismo ci sia un fossato difficile da colmare, ma certo Alfano ha frequentato quella scuola e una certa impostazione c'è”. L'ex ds Peppino Caldarola, oggi editorialista del Riformista, quotidiano aperturista in materia di giustizia, ritiene che Alfano sia “il dirigente postberlusconiano che somiglia di più alla classe dirigente di rito democristiano. E' come un Gianni Letta ringiovanito, con la riforma della giustizia ha lanciato anche una sua personale sfida. Politicamente è forte quasi quanto Tremonti, ma ha un carattere meno irritante”. Sono i primi segnali di un'embrionale sindrome Tremonti, quel mix di fastidio e però anche di apprezzamento – nel caso del ministro dell'Economia spesso anche di una fascinazione culturale – che caratterizza le relazioni del Pd con quelli che considera interlocutori possibili. Nei sussurri di Transatlantico, area Pd, si vanno rivalutando in Alfano “preparazione e scaltrezza politica”. Enrico Letta può rivendicare di esserne stato il primo talent scout nell'opposizione: lo ha incluso nel laboratorio generazionale Vedrò invitandolo ogni anno a partire dal 2008 quando il governo Berlusconi aveva appena soppiantato quello di centrosinistra battendo Veltroni. Certo la materia di cui il giovane ministro si occupa non è la più facile per mettere alla prova il dialogo con il Pd: tanto che paradossalmente i più aperti alla separazione delle carriere e alla responsabilità civile dei magistrati come Roberto Giachetti ex rutelliano sono anche i più scettici sulle capacità del Guardasigilli e sulla sua autonomia da Berlusconi. E' ancora Caldarola a notare però che se Alfano non usa toni aspri anche il Pd lo risparmia dagli attacchi riservati per esempio a Ghedini, moderati anche la Repubblica e il Fatto: “Perfino Travaglio non esagera…”.
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