Santa Cecilia, chi ti aiuterà?

Nicoletta Tiliacos

Il presidente dell'Accademia nazionale di Santa Cecilia, Bruno Cagli, ha annunciato ieri che lunedì presenterà le sue dimissioni al consiglio di amministrazione, perché non riesce più a tagliare i costi. E' l'epilogo annunciato di una vicenda in cui l'Accademia musicale di Santa Cecilia ha fatto la parte, poco piacevole, della virtuosa e mazziata.

    Il presidente dell'Accademia nazionale di Santa Cecilia, Bruno Cagli, ha annunciato ieri che lunedì presenterà le sue dimissioni al consiglio di amministrazione, perché non riesce più a tagliare i costi. E' l'epilogo annunciato di una vicenda in cui l'Accademia musicale di Santa Cecilia ha fatto la parte, poco piacevole, della virtuosa e mazziata. L'illustre istituzione varata in forma di congregazione da Papa Sisto V nel 1585 (ma prima ancora voluta da Gregorio XIII) e arrivata ai giorni nostri in piena e smagliante attività, non è riuscita a far valere, nella ripartizione del già sparuto bilancio previsto per le fondazioni liriche dal Fondo unico per lo spettacolo (passato dai 378 milioni di euro del 2009 ai 258 del 2011), la sua poszione di eccellenza.

    Non ha ottenuto nemmeno quei tre milioni di euro a testa reintegrati in extremis dal decreto Milleproroghe per la Scala, l'Arena di Verona e la Fondazione Verdi di Milano. Tutto questo, mentre ulteriori nuvole si addensano, a seguito dell'annunciato congelamento di ben 27 sui 258 milioni superstiti del Fus (solo per il 47,50 per cento destinati alle fondazioni liriche. Vedi in proposito, la scheda in questa stessa pagina).

    Virtuosa e mazziata, dunque. Perché, come ci spiega il “quasi ex” sovrintendente Cagli, “l'Accademia si ritrova con uno stanziamento di cinque milioni in meno rispetto al 2009, nonostante il bilancio in pareggio e nonostante la qualità e il successo della nostra programmazione. Dei quali dobbiamo ringraziare soprattutto quello che dal 2005 è il nostro direttore musicale, il maestro Antonio Pappano, invidiatoci da tutto il mondo e da tutto il mondo corteggiato, con il quale abbiamo firmato un contratto fino al 2013 e che è ben felice di lavorare in eccezionale sintonia con le nostre maestranze”. Proprio domani sera, di ritorno dalla Gran Bretagna, Pappano dirigerà all'Auditorium (prima di tre repliche), la prima sinfonia di Mahler, “Il Titano”, il primo Concerto per pianoforte di Liszt – con solista Boris Berezovsky – e la sinfonia dell'“Aida” di Verdi.

    Cagli ci aveva ricevuto qualche giorno fa  nel suo ufficio, in quella che è dal 2002 la nuova casa dell'Accademia, trasferita dalla vecchia sede dell'ex convento delle Orsoline, in via Vittoria, dove ancora rimagono alcuni uffici, all'Auditorium Parco della Musica progettato da Renzo Piano. Costato sessantasei anni di attesa (tanti ne son dovuti passare dalla demolizione del vecchio Auditorium dell'Accademia, all'Augusteo, raso al suolo per riportare alla luce la tomba dell'imperatore) e ormai diventato per Roma quello che negli auspici doveva essere: il luogo privilegiato della musica nella capitale, punto d'incontro e di riferimento culturale per l'intera città, un posto dove l'Accademia è padrona di casa e non più ospite in affitto all'Auditorium di via della Conciliazione.

    Sulla parete di fianco alla scrivania del sovrintendente, vediamo in una vecchia foto in bianco e nero un uomo stempiato, con gli occhiali: “E' Gustav Mahler, ritratto proprio nel suo camerino a Santa Cecilia, nel 1908 – spiega Cagli – e alle sue spalle si può vedere una piccola immagine incorniciata della santa patrona della musica e dei musicisti, di quella Cecilia che dà il nome all'Accademia. Per tanto tempo quell'immagine l'abbiamo data per persa, poi è stata recuperata in un magazzino. L'abbiamo restaurata e ora è qui”. A vegliare, si spera con successo, sulle sorti dell'istituzione della quale, nel tempo, sono stati soci Cherubini e Mercadante, Donizetti e Rossini, Paganini e Auber, Liszt e Mendelssohn, Berlioz e Gounod.

    L'Accademia non si è affidate solo ai santi, però. Cagli spiega che “si è lavorato di lena sul risanamento, giustamente richiesto a tutte le fondazioni liriche. Posso annunciare che il nostro bilancio è in pari anche per quanto riguarda il 2010. Non solo. Ci è stato chiesto di avere almeno il quaranta per cento di entrate proprie, e noi abbiamo addirittura superato il cinquanta per cento. Ma allora, visto che la matematica non è un'opinione, sopprimendo una parte della programmazione, come qualcuno pretenderebbe, per contenere i costi, il risparmio sarebbe su una parte delle spese, non certo sugli stipendi dei professori d'orchestra, i quali sono comunque retribuiti, che suonino o che stiano a casa. Senza contare che proprio quel cinquanta per cento di ricavi propri, che è la nostra forza, andrebbe a farsi benedire. L'anno scorso mi era stato detto: rinunciamo al festival di settembre, che prevedeva le ultime sinfonie di Beethoven dirette da Kurt Masur. Ma a parte Masur, che ci ha fatto ottime condizioni, e a parte i quattro solisti che hanno suonato con lui, i professori d'orchestra erano i nostri. Abbiamo avuto il tutto esaurito sempre. Significa che abbiamo venduto duemilaottocento biglietti a sera. Parlo di biglietti veri, non di omaggi”.

    Cagli spiega che dopo quarant'anni di questo mestiere (“ho diretto le tre più importanti istituzioni musicali romane, la Filarmonica, il Teatro dell'Opera e in due riprese l'Accademia di Santa Cecilia”), quello che non può accettare è “rassegnarmi alla gestione di una dismissione. Eppure, nel decreto Bondi di riforma degli enti lirici, tra i criteri virtuosi da premiare con un particolare statuto di autonomia, si parla di una quota precisa di ‘risorse proprie'. Con questa definizione si intendono gli introiti di biglietteria ma anche le attività retribuite. Come sono, per esempio, i tre concerti per le celebrazioni dell'Unità d'Italia che l'orchestra di Santa Cecilia ha in programma tra pochissimi giorni, uno al Campidoglio, uno all'Altare della patria e l'altro al Quirinale, o il concerto inaugurale dell'anno accademico all'Università la Sapienza. Si tratta di prestazioni che portano soldi nelle nostre casse ma che naturalmente non prevedono vendita di biglietti. Ma che, a tutti gli effetti, costituiscono le famose ‘risorse proprie' richieste dalla legge”. Della quale si aspettavano con ansia, proprio in questi giorni, i decreti attuativi che dovrebbero riconoscere anche all'Accademia la “forma organizzativa speciale” basata su caratteristiche come la peculiarità in campo lirico sinfonico, la rilevanza internazionale, la capacità produttiva, l'equilibrio economico patrimoniale di bilancio e la consistente capacità di attrarre sponsor privati: “Tutte condizioni pienamente assolte dalla nostra fondazione”, afferma Cagli. Della legge Bondi, spiega ancora il presidente dell'Accademia, “avevamo salutato con favore l'inversione di marcia, rispetto al tradizionale andazzo che per troppo tempo ha portato soccorso alle istituzioni che fanno acqua e accumulano deficit (‘tanto poi ci pensa il governo a tappare i buchi', si diceva) rispetto a quelle virtuose. Il decreto Bondi ci è dunque sembrato un benemerito cambiamento di indirizzo. Ora però ci si prospetta qualcosa di inaccettabile: risparmiare lasciando a casa (pagati, ma chissà fino a quando) orchestra, coro, corpo di ballo e macchinisti, e sopprimere spettacoli e repliche. Si tratta di una logica inaccettabile, sul piano economico e sul piano morale”.

    Quando parla di “piano morale”, Cagli pensa al ruolo e alla storia dell'Accademia di Santa Cecilia, che definisce orgogliosamente “la più antica istituzione musicale italiana ancora in funzione. Ne esistono anche altre, a loro volta molto antiche o addirittura antichissime, ma nessuna che tuttora lavori a trecentosessanta gradi come Santa Cecilia. Partiamo dalla ricerca scientifica, passiamo per la conservazione del patrimonio storico – abbiamo un archivio antico di quattrocento e passa anni – abbiamo la nostra grande bibliomediateca, accessibile anche via Internet, abbiamo un importante museo degli strumenti musicali. E abbiamo naturalmente la produzione musicale a tutto campo”. Cagli si sente di affermare che “non c'è niente di simile, in Europa e nel mondo, anche per il numero di manifestazioni che riusciamo ad allestire. Superiamo i seicento concerti l'anno, che comprendono non soltanto le stagioni sinfoniche e le tournée, ma anche l'attività per il nuovo pubblico, vale a dire i concerti per le scuole, l'attività della JuniOrchestra e il coro di voci bianche”.

    E', questa dei bambini e dei ragazzi da conquistare alla musica, uno dei capitoli essenziali della missione dell'Accademia, che più potrebbero venire penalizzati dalla temuta mancanza dell'apporto del Fus: “Basti pensare alle borse di studio che ogni anno eroghiamo, fondamentali quando si scopre un talento naturale che non sa come accedere alla formazione o che magari non sa nemmeno come comprare lo strumento. Facciamo un vero lavoro da talent scout”. Un lavoro vitale, “se consideriamo che nella storia della musica italiana la vera formazione avveniva nelle scholae cantorum, delle chiese. Consideriamo i grandissimi cantanti: dove ha cominciato Beniamino Gigli, se non nel coro della chiesa? E lo stesso Gaetano Donizetti? Dove si è svelato? Le voci bianche sono fondamentali per creare i futuri cantanti e i futuri strumentisti, ma anche per creare il futuro pubblico per la nostra grande musica. E la formazione dei ragazzi a Santa Cecilia è un po' la schola cantorum dei nostri tempi, non va considerato un optional”.

    L'aspetto formativo è dunque importantissimo, si accalora Cagli, che ha voluto e avviato, nel 2006, questa prima orchestra di bambini e ragazzi creata nell'ambito delle fondazioni lirico-sinfoniche italiane: “Ma ci pensiamo a quanti ragazzi (stiamo parlando di duecentosessanta strumentisti, divisi in quattro gruppi per fasce d'età, senza contare i cinque cori di voci bianche, sempre in attività, anche in collaborazione con il Teatro dell'Opera di Roma), quanti ragazzi, dicevamo, sono sottratti alla noia e alla strada dalle nostre attività? E quanti, anche tra coloro che magari non sceglieranno di continuare professionalmente sulla strada della musica, avranno però un regalo di cultura, di passione, di competenze, del quale saranno fattore di diffusione e di emulazione?”.

    Chi entra nei locali dell'Accademia di santa Cecilia al Parco della musica, vede subito i grandi spazi luminosi della Bibliomediateca, frequentati da studiosi e da giovani che possono consultare i fondi lì conservati e composti da centinaia di migliaia di libri, partiture, spartiti, manoscritti, periodici, fotografie, documenti d'archivio, registrazioni audio-video. Gli utenti dell'accesso Internet, ci spiega la responsabile della Bibliomediateca, Annalisa Bini, crescono di anno in anno (sono stati quasi quarantamila nel 2010) e in relazione ai nuovi servizi di consultazione che vengono proposti, “nonostante – lamenta – il personale sia ormai ridotto ai minimi termini”.

    Cagli rievoca i tempi della sua tesi di laurea “nel 1961, con il professor Ronga. Lavoravo alla biblioteca di via dei Greci, naturalmente con un catalogo cartaceo che tale è rimasto per cinquant'anni. A Roma mancava una biblioteca musicale che utilizzasse i mezzi moderni di catalogazione, di consultazione, di accesso e di fruizione. L'Accademia mette ora a disposizione uno strumento davvero efficiente, in perenne arricchimento grazie a donazioni di ogni tipo: spartiti, incisioni, dischi storici. Amo la musica viva più delle registrazioni, è ovvio, ma esistono documenti preziosissimi, testimonianze storiche di uno stile, per esempio di certe tecniche di canto magistrali, che andranno sempre riproposti alle giovani generazioni e a chi vuole intraprendere la strada del canto. Quando, per esempio, si ascolta il duetto dei ‘Pescatori di perle' di Bizet, con Beniamino Gigli e il baritono Giuseppe De Luca che attaccano a mezza voce… ecco, si tratta di una delle più grandi lezioni di canto possibili”.

    C'è poi il Museo degli strumenti, un'altra scommessa vinta: “Quel museo – racconta Cagli – era già previsto nel progetto originario dell'Auditorium. Fu però soppresso quando, durante gli scavi, fu trovata una villa romana (un complesso di 2.500 metri quadrati, con tracce risalenti al VI secolo a.C. fino al III d.C., ndr). Ma non era giusto lasciare nelle casse chiuse o nei caveau di qualche banca il grande tesoro degli strumenti storici dell'Accademia, tra i quali ricordo, alla rinfusa, la collezione di strumenti a pizzico della regina Margherita, uno Stradivari o la viola suonata da Paganini. Fu così deciso, con l'architetto Renzo Piano, di inventare un accesso ai magazzini dal foyer, con centocinquanta tra gli strumenti più importanti esposti in teche, protetti da una climatizzazione che ne conserva le caratteristiche. Mi azzardo a dire che se il nostro Museo degli strumenti si unisse al Museo nazionale degli strumenti musicali che pure ha sede a Roma, in piazza di Santa Croce in Gerusalemme – nato dalla collezione del tenore Evan Gorga, il primo interprete della “Bohème” – l'Italia avrebbe un museo di strumenti musicali di rilievo impareggiabile, con nulla da invidiare a quelli di New York o di Bruxelles”.

    Tutti ottimi motivi, quelli elencati dal suo sovrintendente (tale almeno fino a lunedì prossimo), per dare nuovo respiro economico all'Accademia di Santa Cecilia, se proprio non bastasse quello che – quasi per ironia della sorte, viste le restrizioni minacciate – “in questo momento è il credito altissimo sul piano internazionale di cui godiamo. La nostra tournée in Germania, nell'ottobre scorso, è stata salutata con un entusiasmo immenso, da Berlino a Monaco. Quest'anno, i progetti di tournée della nostra orchestra, ormai considerata tra le dieci migliori del mondo, ammontano a una settantina di giorni”. L'Orchestra diretta da Pappano sarà dal 17 marzo in Gran Bretagna, con concerti a Basingstoke, a Manchester, a Birmingham, “e poi ci saranno Atene, Lussemburgo, Baden-Baden, Essen e Bruxelles. A luglio saremo ancora a Londra, ai Proms, un posto che tiene seimila spettatori, con il ‘Guillaume Tell', e il 6 e 7 agosto a Salisburgo, con la sinfonia n. 104 di Haydn e con lo ‘Stabat Mater' di Rossini.

    E poi ancora Bucarest, Giappone, Cina, Amsterdam e Parigi… quale altra istituzione si fa ambasciatrice come noi della musica italiana nel mondo? Mi auguro che ci si renda conto di questo e della necessità di non condannare un patrimonio senza uguali”. Qualcosa che dovrebbe essere oggetto di vanto e che non merita di essere archiviato nella marginalità. “E' la nostra storia che ce lo chiede. Sono marchigiano d'origine e ricordo che le Marche sono, al mondo, il territorio con la più alta densità di teatri storici. Meravigliosi teatri, anche in paesi piccolissimi, la maggior parte dei quali chiusi e misconosciuti. Un patrimonio che testimonia di quanto la musica sia intessuta con la vita di questo paese, con le sue radici più profonde”.

    L'Accademia di Santa Cecilia la sua parte vuole farla, ma non si va in paradiso a dispetto dei santi. Racconta Giuliano Polo, direttore del personale, che “la settimana scorsa all'Auditorium c'era la pianista Martha Argerich, solista nei nostri concerti sinfonici, ed è venuto ad assistere alle sue prove con l'orchestra un altro grande pianista, Alfred Brendel, anche lui qui per un impegno all'Auditorium. Il giorno dopo, è stata la Argerich a voler assistere alla lezione e al concerto di Brendel. Sono cose che possono accadere in tre o quattro capitali del mondo, e solo questo basterebbe a far capire che cosa è ormai il Parco della Musica. Una contrazione delle sue attività per mancanza di fondi sarebbe una bestemmia”. Che qualcuno, a quanto pare, non ha paura di pronunciare.