La breccia di Porta Pia in una litografia d'epoca

l'Intervista

Il sollievo della chiesa per la fine del potere temporale non nasce oggi

Parla il direttore dell'Osservatore Romano Gian Maria Vian

Paolo Rodari

La proclamazione del Regno d’Italia aprì una fase drammatica per il papato ma oggi il ricordo di quell’evento suscita sentimenti differenti oltre il Tevere. “L’amicizia tra Vaticano e Quirinale con la perdita del potere temporale della chiesa si è, di fatto, rafforzata", dice Vian

Centocinquant’anni anni fa la proclamazione del Regno d’Italia aprì una fase drammatica per il papato. Cadeva quel che restava del dominio temporale della chiesa cattolica e in molti, corte pontificia compresa, vissero il delicato passaggio non senza sofferenza.

Oggi il ricordo di quell’evento suscita sentimenti del tutto differenti oltre il Tevere. Il Papa benedice con un messaggio augurale l’unità d’Italia dopo che pochi mesi prima il suo primo collaboratore, il cardinale Tarcisio Bertone, si era recato a Porta Pia per commemorare i caduti del 20 settembre 1870, il giorno della presa di Roma. Mai un segretario di stato vaticano aveva preso parte a queste cerimonie. Quarant’anni fa, nel centenario, Paolo VI inviò a Porta Pia il cardinale Angelo Dell’Acqua, suo vicario per la diocesi di Roma, ma non il primo ministro vaticano.

Gian Maria Vian dirige l’Osservatore Romano. Conosce bene l’aria che si respirava allora e quella che si respira oggi. Dice: “Dirigo un giornale fondato il primo luglio del 1861 da due fuoriusciti rifugiatisi a Roma dopo l’annessione di Bologna e della Romagna, Nicola Zanchini e Giuseppe Bastia. Il giornale fu fondato per dare voce a una linea politica rigidamente papalina, segno di una insofferenza non secondaria”. Scrive in proposito lo storico Giampaolo Romanato: “Ogni argomento era buono per attaccare l’avversario, anche quelli più grossolani. Con compiaciuta meticolosità si fece l’elenco di tutti i nemici del papato che erano scesi anzitempo nella tomba o erano stati colpiti da gravi lutti familiari”. Ma, dice Vian, “ciò non significa che fin da subito non vi sia stata, anche in Vaticano, una visione diversa delle cose. Una visione che poi ha preso sempre più il sopravvento. E cioè l’evidenza che la fine del potere temporale è stata provvidenziale anzitutto per la chiesa. Rilevò non a caso il 10 ottobre 1962, alla vigilia dell’apertura del Concilio Vaticano II, l’allora arcivescovo di Milano, il cardinale Giovanni Battista Montini, in una conferenza tenuta in Campidoglio davanti al presidente della Repubblica Antonio Segni e al presidente del consiglio Amintore Fanfani: ‘Proprio dopo la fine del potere temporale il papato riprese con inusitato vigore le sue funzioni di maestro di vita e di testimone del Vangelo’”.

A volte è stato Gian Maria Vian a scrivere di un “Tevere ancora più largo”. Perché? “Ho voluto sottolineare che quanto disse Giovanni Spadolini nel 1958 è a maggior ragione vero oggi. Spadolini parlò di ‘Tevere più largo’ indicando una più netta e insieme più cordiale distinzione fra le due sfere, fra la Roma laica e la Roma ecclesiastica, fra la Roma sacra e la Roma profana, per dirla col linguaggio dei cattolici liberali di una volta. A questa larghezza ha contribuito in special modo la tradizione cristiana. Solo all’interno di culture cristiane è potuta nascere la secolarizzazione e questo perché alle stesse origini cristiane risale la distinzione tra Cesare e Dio. Questa distinzione a volte è stata aspra, ma più in generale si è caratterizzata come dialettica fruttuosa, come è di fatto oggi. ‘Il cristianesimo non è nemico di nessuno, tanto meno dell’imperatore’, scrisse Tertulliano in un’operetta indirizzata agli inizi del III secolo a un proconsole persecutore”.

Può sembrare strano. Ma è un fatto che una particolare sintonia tra Vaticano e Roma si sia registrata sotto due Pontefici non italiani, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Dice Vian: “Soltanto due volte nella storia, nel cuore del Trecento durante il papato avignonese e fra il VII e l’VIII secolo al tempo dei pontefici d’origine greca, si sono avuti periodi così lunghi in cui i successori di Pietro non sono stati italiani. Può sembrare paradossale ma è stata questa fortunata contingenza, favorita anche dallo sfaldamento della cosiddetta unità politica dei cattolici durante il pontificato di Karol Wojtyla, a contribuire all’allargamento del Tevere”.

Il Tevere più largo. I ponti che lo attraversano più sicuri. Le relazioni con l’Italia rafforzate. Ciò non significa che la questione romana non resti in qualche modo un segno di contraddizione. Lo disse anche Papa Ratzinger nel 2008 che la questione romana “fu causa di sofferenza per coloro che sinceramente amavano la patria e la chiesa”, ma, spiega Vian, essa “fu superata dai Patti lateranensi, quando le sponde del Tevere trascinarono nel Tirreno i flutti del passato e finalmente riunirono i due colli. La suggestiva immagine citata dal Pontefice tedesco era stata evocata nel decennale della Conciliazione da un suo predecessore, Pio XII, quando nel 1939, per la prima volta dopo la presa di Roma, un Papa tornò al Quirinale.

La tesi di Vian è una: “La presenza del cardinale Bertone a Porta Pia e il messaggio del Papa sono l’ultima espressione di un sentimento presente in qualche modo negli ambienti vaticani già nei giorni della presa di Roma. Allora il Papa era Pio IX, al secolo Giovanni Maria Mastai Ferretti. Fu il generale del corpo armato pontificio Hermann Kanzler che disattese le sue direttive e portò alla morte oltre sessanta soldati delle due parti. Alcuni documenti di archivio hanno confermato che non era intenzione del Vaticano resistere. Pochi giorni prima del centenario, Paolo VI annunciava la decisione di sciogliere i corpi armati pontifici, eccettuata l’‘antichissima’ guardia svizzera’. Cosicché, scrisse Montini, ‘tutto ciò che circonda il successore di Pietro manifesti con chiarezza il carattere religioso della sua missione, sempre più sinceramente ispirata a una linea di schietta semplicità evangelica’. Insomma, la strada è sempre stata quella dell’amicizia tra i due colli”, Vaticano e Quirinale. “Un’amicizia – conclude il direttore dell’Osservatore Romano – che con la perdita del potere temporale della chiesa si è, di fatto, rafforzata. Perché, come scrisse Alessandro Manzoni, la chiesa, se è libera dagli impacci delle cure temporali che altro non sono che ‘la sua desolazione e la sua vergogna’, si può dedicare più pienamente al suo mistero spirituale”.

Di più su questi argomenti: