Non arzigogola ed è scorretto. Tutto il talento di mister Franzen

Mariarosa Mancuso

Conviene partire dai nemici. Sono più utili per capire con quali arti uno scrittore di talento – spacciatore di gioie romanzesche dopo aver giurato e spergiurato  sull'impossibilità del Grande Romanzo Americano – tiene svegli i lettori e i critici fino a notte. Tutti i lettori e tutti i critici: anche quelli che poi, arrivati all'ultima pagina, si ricompongono, prendono l'aria da intenditori alla Antonio Albanese e dicono “tutto qui?”.

    Conviene partire dai nemici. Sono più utili per capire con quali arti uno scrittore di talento – spacciatore di gioie romanzesche dopo aver giurato e spergiurato  sull'impossibilità del Grande Romanzo Americano – tiene svegli i lettori e i critici fino a notte. Tutti i lettori e tutti i critici: anche quelli che poi, arrivati all'ultima pagina, si ricompongono, prendono l'aria da intenditori alla Antonio Albanese e dicono “tutto qui?”. Era accaduto con “Le correzioni” (nelle librerie americane il 10 settembre del 2001, la fidanzata invidiosa e in preda al blocco della scrittrice sparò i mortaretti per la felicità). Ricapita con “Libertà”, appena uscito da Einaudi. A capo degli antipatizzanti sta B. R. Myers, che sull'Atlantic distrugge il romanzo dicendo che Walter e Patty Berglund non sono interessanti (“Pensavo che nelle prime pagine ci fossero figurette di contorno, mi sbagliavo. Erano i protagonisti”), e che Jonathan Franzen scrive male. Un monumento al nulla, riassume, nel caso il concetto non fosse abbastanza chiaro. Myers una decina di anni fa aveva bollato come nemici della prosa americana Cormac McCarthy (troppo macho) e Don DeLillo (troppo tagliente). Solo un masochista potrebbe seguire il suo consiglio e non leggere Franzen. Ma siccome le stesse obiezioni capita di sentirle, per esempio da chi non legge mai i libri di cui tutti parlano (e purtuttavia spara giudizi), vale la pena fare un po' di pulci al ragionamento. Jonathan Franzen non scrive male. Al contrario: scrive benissimo.

    Semplicemente, non arzigogola.
    Va al dunque, non liscia il pelo ai lettori, ha la scheggia di ghiaccio nel cuore che Graham Greene considerava indispensabile a un romanziere. Poiché sa guardare il mondo, ed è bravo a cogliere come siamo (mal)fatti, non ha bisogno degli squilli di trombetta scambiati per letteratura (esistesse un orecchio letterario, oltre all'orecchio musicale, si capirebbe subito chi stona, o chi fa la rima cuore-amore). Quanto ai personaggi (e alla trama), altro che monumento al nulla. E' la pietra tombale sui progressisti più che benestanti. Patty e Walter sono ottimisti e di sinistra, guidano la Volvo, odiano la vicina di casa che fuma e si ossigena i capelli, mangiano bulgur e usano pannolini lavabili. Primo scandalo: il figlio adolescente si trasferisce a casa dei vicini e tifa per G. W. Bush (siamo nel 2000). Walter si dedica all'ambiente, proteggendo una rara specie di uccelli. Dai gatti domestici, che obbliga a campanelli e pettorine (se no, stiano in casa). E soprattutto dagli umani che si ostinano a far figli. Esiste forse qualcosa di più terribile, minaccioso, inquinante, antiecologico di un neonato?