La Corte di Strasburgo riappende il crocefisso nelle scuole italiane

Nicoletta Tiliacos

La Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo ha assolto l'Italia dall'accusa di violazione del diritto all'istruzione, alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione per l'esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche. La decisione, che mette fine a una querelle cominciata in una scuola statale di Abano Terme nel 2002, passata per vari gradi di esame in Italia e portata nel 2006 di fronte alla Corte di Strasburgo, è stata presa con quindici voti contro due.

    La Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo ha assolto l'Italia dall'accusa di violazione del diritto all'istruzione, alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione per l'esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche. La decisione, che mette fine a una querelle cominciata in una scuola statale di Abano Terme nel 2002, passata per vari gradi di esame in Italia e portata nel 2006 di fronte alla Corte di Strasburgo, è stata presa con quindici voti contro due, e smentisce un precedente pronunciamento della Corte, che nel 2009 aveva condannato l'Italia su richiesta di Soile Lautsi, italiana di origine finlandese, la quale ravvisava nel crocefisso esposto nelle aule dove studiavano i due figli una violazione del diritto dei genitori a educarli secondo coscienza e senza interferenze da parte dello stato.

    “E' la prima volta che in questa materia una decisione assunta all'unanimità in primo grado da sette giudici su sette è rovesciata in sede di ricorso”, spiega al Foglio Massimo Introvigne, rappresentante dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa per la lotta all'intolleranza contro i cristiani. Il quale è convinto che “abbia pesato il fatto che un campione del laicismo come il giudice italiano Vladimiro Zagrebelsky, che aveva contribuito alla prima sentenza, dal gennaio 2010 non faccia più parte della Corte”.

    Le motivazioni della sentenza della Grande Camera di Strasburgo mettono l'accento sul fatto che, “non ci sono elementi che attestino l'eventuale influenza” che il crocefisso nelle aule potrebbe avere sugli alunni. Non basta, infatti, la “percezione soggettiva” della ricorrente ad accreditare “una violazione dell'articolo 2 del Protocollo n°1” della Convenzione dei diritti dell'uomo (quello che si occupa di istruzione). Rispetto alla posizione del governo italiano, il quale “sostiene che la presenza del crocefisso nelle aule scolastiche corrisponde a una tradizione che si giudica importante perpetuare”, la Corte ritiene di dover rispettare le scelte dei singoli stati in questo campo, purché “non conducano a una forma di indottrinamento”. Di cui comunque la Corte non vede gli estremi, perché “nulla indica che le autorità si mostrino intolleranti nei riguardi di allievi di altre religioni, non credenti o di convinzioni filosofiche che non fanno riferimento a una religione”. Nel decidere di mantenere il crocefisso nelle aule, quindi, “le autorità hanno agito nei limiti dell'ambito di cui l'Italia dispone nel quadro degli obblighi da rispettare”.

    Lo storico Gian Enrico Rusconi si dice stupito della sentenza, “per due ragioni. La prima è che siamo di fronte a un ribaltamento della prima decisione, e mi chiedo su quali basi. La seconda è il contrasto evidente con una sentenza della Corte costituzionale tedesca. La quale nel 1995 stabilì, nel caso in cui genitori, alunni ed educatori avessero percepito in modo negativo l'esposizione del crocefisso, che dovesse prevalere l'autonomia del singolo, che l'identità collettiva non dovesse prevaricare l'individuo. Strasburgo ora afferma il contrario”. Rusconi aggiunge che “la Corte tedesca prese la strada più difficile, ma più liberale, di non affidare a una legge il sì o il no al crocefisso, ma a intese che possono  cambiare da scuola a scuola. E' anche la mia personale posizione. Ma dal '95 – osserva ancora Rusconi – è successo che il problema si è caricato di nuovi significati. Si è voluto ridurre il crocefisso a un marcatore ideologico, di identità nazionale, con una strumentalizzazione irrispettosa di ciò che quel simbolo religioso è”.

    Soddisfatto è invece il giurista ebreo Joseph Weiler, che ha difeso di fronte alla Grande Camera di Strasburgo, a nome di dieci nazioni, le ragioni dell'Italia nella causa contro la signora Lautsi. Della decisione della Grande Camera, Weiler dice di apprezzare il fatto che “non si costringono i diversi popoli a disconoscere negli spazi pubblici ciò che per molti è un'importante parte della storia e dell'identità dei loro stati, riconosciuta anche da coloro che non condividono la stessa religione o che non professano alcuna religione”.