Maroni, il più italiano dei leghisti e il suo esercito di leghisti italiani
Umberto Bossi e i suoi ministri hanno ascoltato il solenne discorso del capo dello stato sull'Unità d'Italia (“ha fatto un buon discorso”), solo ai peones è stato concessa un'assenza simbolica. Ma i governatori del nord (Luca Zaia ha addirittura messo la coccarda al petto) hanno partecipato alle cerimonie in Piemonte e Veneto. Ma il primo ad affermare la necessità anche per la Lega di festeggiare l'Unità d'Italia (per quanto federale) era stato il ministro dell'Interno Roberto Maroni.
Umberto Bossi e i suoi ministri hanno ascoltato il solenne discorso del capo dello stato sull'Unità d'Italia (“ha fatto un buon discorso”), solo ai peones è stato concessa un'assenza simbolica. Ma i governatori del nord (Luca Zaia ha addirittura messo la coccarda al petto) hanno partecipato alle cerimonie in Piemonte e Veneto. Ma il primo ad affermare la necessità anche per la Lega di festeggiare l'Unità d'Italia (per quanto federale) era stato il ministro dell'Interno Roberto Maroni che, dopo anni di basso profilo politico e nelle dinamiche di partito, a favore di un vincente profilo istituzionale, è uscito negli ultimi tempi allo scoperto. Non è un caso che il suo luogotenente in Veneto, il sindaco di Verona Flavio Tosi, abbia celebrato in pompa magna l'Unità indossando la fascia tricolore. E che un altro maroniano di ferro, il sindaco di Varese Attilio Fontana, abbia fatto altrettanto, in attesa della visita in città di Giorgio Napolitano lunedì prossimo.
Varese è la città di Maroni. Qui il motto più di moda tra i leghisti non si ispira alla battaglia di Legnano, ma semmai a Napoleone: “A' la guerre comme à la guerre” dicono i maroniani. Un motto pronunciato con l'amara consapevolezza che ormai ci sono due anime del partito: quella che fa riferimento a Bossi (e al suo delfino Marco Reguzzoni) e quella più critica che invece guarda a Maroni come all'uomo del cambiamento (di tattica, di strategia e soprattutto di prospettiva). A pronunciare il grido di battaglia sono infatti quelli che si definiscono maroniani doc, prima convinti che si dovesse andare alle elezioni, e che ora vorrebbero far correre da soli i candidati alle prossime amministrative. Così pure i bossiani convinti cominciano a non credere più tanto alla teoria del gioco delle parti, sempre sbandierato dai colonnelli del Carroccio per convincere l'opinione pubblica che le guerre interne al movimento padano non esistano. Le dinamiche all'interno dei vertici della Lega sono in continua evoluzione, ma non si può ignorare il recente attivismo territoriale di Maroni.
Fino a ora si sapeva che era stato lui a sostenere a distanza l'ascesa di Antonio Marano (vicedirettore Rai), di Massimo Ferrario (ex presidente della provincia di Varese, ora direttore del centro di produzione Rai a Milano) e Giovanna Bianchi Clerici (cda Rai), tutti varesini, ma ora che il gioco si fa più duro, Bobo, come lo chiamano gli amici, è salito sul ring per rafforzare la sua posizione anche nel suo partito. Con un occhio al rimpasto di governo (dove due pretoriani di Bossi, Marco Reguzzoni, presidente del gruppo padano di Montecitorio, e Federico Bricolo, capogruppo al Senato, speravano di giocare al salto in alto) e uno ancora più vigile al territorio, dove presto si voterà. E' ancora presto per sapere se il sindaco di Varese Fontana correrà da solo, ma si sa che potrebbe essere sostenuto nel caso proprio dal ministro dell'Interno come capolista. Un segnale chiaro del nuovo protagonismo di Maroni. Non è passata inosservata la sua presenza venerdì 4 marzo a Milano, quando è andato a incontrare il vicepresidente della regione Andrea Gibelli, senza rendere una visita di cortesia a Roberto Formigoni. Era in compagnia di Matteo Salvini, recentemente escluso dalla rosa dei candidati a vicesindaco per Milano perché i suoi soldati, i dirigenti molto attivi della sezione della Lega meneghina, non sono molto graditi alla “famiglia” del Capo. Pochi invece hanno notato che l'arrivo di Renzo Bossi a guidare i “Media Padani” è stato un modo per silurare Stefano Stefani, per anni presidente del settore, che guarda caso in Veneto sostiene Tosi, che sta guidando la battaglia contro la filiera dei pretoriani di Bossi. Mentre Zaia per il momento può stare a guardare.
Maroni dice e ribadisce che non esiste alcuna guerra interna alla Lega, semmai solo confronto, ma allora non si spiega come mai i sostenitori di Maroni si siano messi l'elmetto per combattere quelli di Marco Reguzzoni, l'altro potente colonnello varesino. A Varese, comunque, è difficile trovare qualcuno che non sia maroniano: compreso il segretario provinciale, Stefano Candiani, il potentissimo segretario nazionale della Lombardia, Giancarlo Giorgetti (che però deve mantenere un difficile equilibrio), il presidente della provincia, Dario Galli, e tutti gli affiliati all'associazione Terra Insubre (messa all'indice da Bossi nel comizio di Pontida del maggio scorso), centro di studi identitari ma anche lobby politica con adesioni e consensi da parte di molti notabili locali non leghisti.
La lista dei maroniani sul territorio è lunga e lui, come si diceva una volta, coltiva i collegi. A Mantova, dove recentemente si è presentato per sostenere la candidatura di Gianni Fava (sodale di Tosi) alla provincia. E persino a Torino, dove con il presidente Roberto Cota, (considerato fino ad ora vicino a Calderoli) ha incontrato i vertici Fiat. E' quasi impensabile, pensare che Maroni voglia sfidare Bossi (anche se prima o poi la questione della successione verrà messa davvero all'ordine del giorno). Forse, quello che lui chiama confronto è più dettato dall'esigenza di cambiare tattica (e impedire che il Carroccio si avviti sulla dicotomia tra la “Lega di lotta” e quella “di governo”). In ogni caso, oggi è difficile trovare qualcuno che non parteggi per Maroni. Il vento è cambiato? Oppure il “cerchio magico” dei bossiani è in difficoltà? Se i congressi locali del partito non fossero stati congelati, proprio per evitare la resa dei conti, lo avremmo scoperto in poco tempo. Intanto la settimana scorsa a Codogno, provincia di Lodi a parlare di elezioni amministrative si è presentato proprio Tosi. E questo fa tornare in mente una frase sibillina ascoltata da alcuni bossiani: “Se Tosi vince, Maroni si prende il Veneto”. E siccome Varese tifa Maroni e anche Bergamo lo ama, e a Milano i giovani emergenti stanno con lui, chi si prende il Veneto, forse vince la partita. Qualunque essa sia. A costo di cantare l'inno di Mameli.
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