Se Montaigne fosse stato un blogger sarebbe stato il migliore di tutti

Mariarosa Mancuso

I blogger con uso di liceo classico lo considerano un antenato, perché scriveva le sue opinioni su qualunque cosa gli venisse in mente. Inoltre aggregava contenuti presi dai mille volumi che teneva nel suo studio. Le somiglianze ingannano: Michel de Montaigne aveva 38 anni, quando si ritirò nella torre del castello di famiglia. A quell'epoca, la quarantina non coincideva con l'età di un uomo che se debutta al cinema o in letteratura viene considerato giovane. Fatte le proporzioni, era l'età di un uomo pronto a farsi sedurre da quel che Shakespeare, nella “Tempesta”, chiamava “il terzo pensiero”.

    I blogger con uso di liceo classico lo considerano un antenato, perché scriveva le sue opinioni su qualunque cosa gli venisse in mente. Inoltre aggregava contenuti presi dai mille volumi che teneva nel suo studio. Le somiglianze ingannano: Michel de Montaigne aveva 38 anni, quando si ritirò nella torre del castello di famiglia. A quell'epoca, la quarantina non coincideva con l'età di un uomo che se debutta al cinema o in letteratura viene considerato giovane. Fatte le proporzioni, era l'età di un uomo pronto a farsi sedurre da quel che Shakespeare, nella “Tempesta”, chiamava “il terzo pensiero”. Scrisse i suoi “Saggi” in francese quando la lingua della cultura era il latino, e lui l'aveva imparato da piccolissimo (aveva un papà tigre, di quelli che non sognano solo il momento in cui ti porteranno sul campo di calcio). Era convinto infatti che fossero pensieri e digressioni destinati a pochi lettori, di scarsa durata nel tempo.

    Si sbagliava. Ancora più dei blogger che credono di avere qualcosa in comune con uno scettico dalla prosa brillante come Montaigne. Con uno scrittore che aveva stabilito: “L'argomento dei miei saggi sono io”, e proprio per questo finì per parlare di paura, di preghiere, di tristezza, di sonni, di solitudine, di moderazione. Anche del vino che preferiva, e del fatto che non si considerava un superdotato, né intellettualmente né fisicamente. Con un conversatore che aveva deciso di affidare alla pagina quel che gli passava per la testa. Non è colpa di Montaigne se quel che aveva in testa era sempre interessante. Era unico in Europa. Nessuno gli stava a pari. Se in tanti avessero seguito il suo esempio, saremmo ancora qui a smaltire cartacce. Per essere più chiari: non è che un migliaio di torri stipate ognuna con un migliaio di libri avrebbero prodotto un migliaio di Montaigne.

    Il fascino di uno che scrive senza impettimento, vivace dopo oltre quattrocento anni, colpisce anche in libreria (americane, che non hanno la piovra Camilleri). Il New York Times ne segnala tre, in aggiunta al manuale di Terence Cave “How To Read Montaigne”. Tutti prendono lo scrittore come maestro di vita, oltre che di pensiero (non nel senso che imponeva cosa pensare; nel senso che insegnava a pensare). Il più curioso, di Saul Frampton, si intitola: “Quando gioco con il gatto, come so che non è il gatto a giocare con me?”. Bella domanda, posta mentre i filosofi discorrevano di animali-macchina.