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La prima prova democratica dopo Mubarak cambia la Costituzione. Ma il vero trionfo è degli islamisti

Giulio Meotti

E' stato il primo, grande, frutto della rivoluzione egiziana e della ritrovata democrazia. In alcuni seggi si è continuato a votare anche dopo l'orario di chiusura, tante erano le persone accorse a pronunciarsi sugli emendamenti alla Costituzione. Mai visti prima quattordici milioni di egiziani alle urne. Il 77,2 per cento ha scelto il “sì”.

    E' stato il primo, grande, frutto della rivoluzione egiziana e della ritrovata democrazia. In alcuni seggi si è continuato a votare anche dopo l'orario di chiusura, tante erano le persone accorse a pronunciarsi sugli emendamenti alla Costituzione. Mai visti prima quattordici milioni di egiziani alle urne. Il 77,2 per cento ha scelto il “sì”. La riforma, scritta sotto l'ombrello dei militari saliti al potere dopo Mubarak, sancisce quindi la limitazione del numero di mandati presidenziali, l'allentamento delle restrizioni per candidarsi, il controllo della magistratura sulle elezioni e l'abolizione del potere presidenziale di ordinare processi militari contro i civili. Un passo importante verso la normalizzazione democratica del Cairo, dopo quarant'anni di leggi emergenziali. 
    Ma il voto getta una luce chiara su chi ha davvero carisma e potere nel più grande paese arabo. Sconfitti dalle urne escono tutti i partiti laici, dal Wafd al Ghad di Ayman Nour, il partito di sinistra del Tagammu, i nasseriani, i giovani di piazza Tahrir, ma anche i due potenziali candidati alla presidenza, Mohamed el Baradei e Amr Mussa. Il fronte laico aveva invitato a votare “no” alle modifiche parziali, a favore di una nuova Costituzione. Per il “sì” erano i Fratelli musulmani, che hanno visto confermato il proprio vastissimo radicamento popolare. Ma la loro forza d'urto si è collegata a quella dell'elettorato del Partito nazionale democratico dell'ex rais. Il New York Times commenta sulla “forza dei Fratelli musulmani e la debolezza dei gruppi liberal”. Un volantino distribuito dalla Fratellanza islamica recitava: “Se voti ‘no' sei un seguace dell'America o di Baradei, se voti ‘sì' sei un seguace di Allah”. Se avessero vinto i “no” la giunta militare sarebbe stata costretta a prolungare la scadenza dei sei mesi, prevista a settembre, per il passaggio del potere nelle mani di un governo civile. E ciò avrebbe aiutato il più disorganizzato fronte laico a preparare le elezioni. Viceversa, l'obiettivo della campagna del “sì” era quello di assicurare stabilità al paese, ma anche quello di arrivare presto alle elezioni legislative, favorendo soprattutto i Fratelli musulmani, il partito più forte e meglio organizzato sul territorio del dopo Mubarak. Anche il partito islamico “moderato” Wasat aveva invitato a votare per il “sì”. Persino i cugini Aboud e Tarek El-Zomor, condannati per l'assassinio del presidente Sadat e appena tornati in libertà, avevano chiesto al popolo di riversarsi alle urne e sostenere la riforma. Anche il leader della Fratellanza, Mohammed Badie, che ha scontato più di dieci anni di carcere, si è fatto fotografare al seggio.

    Il leader della rivolta egiziana a piazza Tahrir, il premio Nobel El Baradei, non ha potuto votare al referendum sulla riforma della costituzione egiziana. El Baradei è stato preso a sassate al seggio e costretto alla fuga. "Non ti vogliamo", hanno gridato centinaia di fondamentalisti islamici. "Non vogliamo un agente americano".

    Attivismo nelle campagne
    L'attivismo ai seggi dei Fratelli musulmani è stato martellante. Hanno dispiegato risorse poderose per questo referendum, inclusa la “ruralizzazione”, cioè la chiamata al voto nelle campagne. I Fratelli hanno organizzato pulmini gratis per portare intere famiglie al voto. Al Ahram ha parlato a proposito di “famiglia alternativa”, una comunità chiusa come un villaggio, modello vincente in un'epoca di disintegrazione delle strutture tradizionali. “Cinquant'anni fa i Fratelli musulmani reclutavano soprattutto fra i figli degli impiegati, i colletti bianchi”, scrive sempre Ahram. Oggi conquistano voti anche e soprattutto nel grande proletariato egiziano.

    Durante i venti giorni di rivolta che ha portato alle dimissioni di Mubarak, i Fratelli musulmani avevano tenuto un basso profilo, ripetevano che è la rivolta di tutti, preferendo dare spazio alla coalizione dei giovani che ha guidato piazza Tahrir. Ora il movimento islamico è il grande favorito al voto. Gli islamici e i membri fuoriusciti dall'ex partito di Mubarak puntano a dominare il futuro Parlamento. Emad Gad, analista dell'Al Ahram Center for Political and Strategic Studies, così dà voce al pessimismo: “Il prossimo Parlamento scriverà la nuova Costituzione, così che i fanatici ci governeranno per decenni”. Anche i cristiani hanno boicottato invano il referendum. I Fratelli musulmani avevano sempre detto che è del tutto impensabile che il presidente, che per loro è anche capo della preghiera, possa essere un non musulmano. Nelle chiese circolavano volantini che invitavano al “no”. Il voto è stato un grandissimo test su quali forze abbiano reale potere in Egitto. Facebook ne ha molto meno delle moschee.

    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.