Così la primavera araba spinge Hamas a rispolverare la violenza

Marco Valerio Lo Prete

Ottimismo della volontà e allo stesso tempo pessimismo della ragione: è questo lo stato d'animo più diffuso nella leadership israeliana che guarda alle rivolte nel mondo arabo, stando alle parole di Yossi Kuperwasser, direttore generale del ministero per gli Affari strategici. L'ex generale, in una conversazione con il Foglio, legge anche i recenti attacchi a Israele dalla Striscia di Gaza come un episodio legato alle rivolte arabe.

    Ottimismo della volontà e allo stesso tempo pessimismo della ragione: è questo lo stato d'animo più diffuso nella leadership israeliana che guarda alle rivolte nel mondo arabo, stando alle parole di Yossi Kuperwasser, direttore generale del ministero per gli Affari strategici. L'ex generale, in una conversazione con il Foglio, legge anche i recenti attacchi a Israele dalla Striscia di Gaza come un episodio legato alle rivolte arabe: “Quello di sabato in Negev è stato un attacco massiccio, il primo apertamente rivendicato da Hamas da molto tempo – osserva Kuperwasser, in questi giorni a Roma per partecipare a un seminario organizzato da Summit, think tank presieduto da Fiamma Nirenstein (Pdl), vicepresidente della commissione Esteri della Camera – e sicuramente non è casuale che sia avvenuto in occasione del voto referendario in Egitto vinto dai Fratelli musulmani”. Ancora ieri, all'indomani di otto raid notturni da parte dell'aviazione di Gerusalemme, alcuni miliziani palestinesi hanno sparato due razzi contro gli insediamenti ebraici: “Hamas si sente più forte e legittimato nel momento in cui nei paesi limitrofi vengono indeboliti gli elementi più filo occidentali delle rivolte. Allo stesso tempo però quest'uso della violenza è un modo per riaffermare il proprio potere all'interno della Striscia, considerato che anche lì si sentono esigenze di cambiamento in un senso più democratico”. Pesa pure la sfida mai del tutto sopita tra Hamas e l'Autorità nazionale palestinese (Anp) di Abu Mazen: “Quest'ultimo ha annunciato colloqui per un governo di unità nazionale e ha chiesto agli stessi dirigenti di Hamas di lasciarlo entrare nella Striscia – dice Kuperwasser – di conseguenza gli estremisti fanno capire che la loro posizione di fondo non cambia e che è a partire da quella che si dovrà trattare”. Israele è preoccupata dalla richiesta di Hamas di riaprire il confine della Striscia di Gaza con l'Egitto? “Non siamo contrari a priori a un'apertura del confine. Certo che se questo confine iniziasse a essere attraversato da armi destinate a colpirci… Ma per ora la leadership militare in Egitto non sembra disposta a lasciare che ciò accada. Tra sei mesi sarà importante capire che cosa sarà cambiato”.

    Kuperwasser, già in passato molto ascoltato dalla classe politica di Gerusalemme in quanto numero uno della divisione ricerche dell'intelligence militare del paese, spinge poi lo sguardo molto al di là dei confini israeliani: “Siamo desiderosi di assistere a un'ondata di democratizzazione in medioriente – dice – visto che il potere nelle mani del popolo è la via più sicura per una pace stabile, anche perché fino a oggi i leader arabi, Hosni Mubarak incluso, non hanno fatto abbastanza per promuovere le ragioni della pace con Israele presso le rispettive popolazioni. Tutt'al più hanno enfatizzato le ragioni economiche di una convivenza con noi, ma senza mai lavorare per un'educazione al rispetto dei nostri diritti”. L'alto dirigente del ministero di Avigdor Lieberman non si sbilancia troppo sugli scenari futuri, piuttosto insiste nel definire quello attuale un “momento letteralmente decisivo”: in molti paesi “si deciderà” per una svolta sinceramente democratica e pacifica, o in alternativa “per una rivoluzione intesa come evento unico e irripetibile, ovvero una vittoria dei movimenti islamici radicali alla quale seguirà l'imposizione di regimi dittatoriali”. In questa fase ancora incerta è “a maggior ragione importante l'intervento dell'occidente che in Libia sta mandando un messaggio chiaro: i valori, a volte, sono più importanti degli affari. Lo stesso messaggio che speriamo sia inviato in Iran”, ribadisce più volte Kuperwasser. Anche perché Teheran, nell'analisi del generale, sarebbe uno degli altri attori che si potrebbe avvantaggiare in questa fase guadagnando influenza nell'area.

    “Le forze estremiste partono oggi da una posizione avvantaggiata – osserva il politico israeliano – se non altro perché da almeno 30 anni controllano il vocabolario e il discorso pubblico arabo”. Gli esempi non mancano già in questi giorni, secondo Kuperwasser, a partire dal caso di ElBaradei che, non appena è stato “percepito come uomo dell'occidente”, è stato addirittura bloccato nel momento in cui si recava al seggio a votare sulla futura Costituzione egiziana. Le piazze arabe sono su un crinale anche rispetto ai rapporti con Gerusalemme: perché è vero che nessun capo di stato arabo in difficoltà ha enfatizzato le solite accuse a Israele, “e ne sono felice – chiosa Kuperwasser – vuol dire che questi argomenti al momento non interessano nemmeno tanto al popolo”, ma allo stesso tempo nessuno dei movimenti libertari della regione ha detto chiaramente di auspicare migliori relazioni con lo stato ebraico.