Banchiere d'affari elogia il piano Tremonti contro l'invadenza francese

Michele Arnese

Chi pensa che i banchieri d'affari italiani, maestri di capitalismo e di operazioni internazionali, s'adontino se il governo pensa a come neutralizzare incursioni aggressive estere in aziende ritenute di rilievo nazionale, allora non ha ancora ascoltato Arnaldo Borghesi. Borghesi è fondatore con Paolo Colombo della Borghesi Colombo & Associati, e soprattutto ha rivestito in passato incarichi di spicco nella boutique finanziaria Lazard

    Chi pensa che i banchieri d'affari italiani, maestri di capitalismo e di operazioni internazionali, s'adontino se il governo pensa a come neutralizzare incursioni aggressive estere in aziende ritenute di rilievo nazionale, allora non ha ancora ascoltato Arnaldo Borghesi. Borghesi è fondatore con Paolo Colombo della Borghesi Colombo & Associati, e soprattutto ha rivestito in passato incarichi di spicco nella boutique finanziaria Lazard. Proprio in base alla sua esperienza, adesso dice: “Le cronache economiche del passato insegnano che quando i gruppi francesi entrano in aziende italiane prima o poi spostano i centri decisionali in Francia – spiega Borghesi in una conversazione con il Foglio – per questo l'iniziativa avviata dall'esecutivo è sacrosanta. Il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, ha l'intelligenza di aver compreso la tendenza e la vuole arginare. Ma una politica economica credibile non è sufficiente. Il ministro non può sostituirsi a un paese che non c'è”. Fa riferimento a una cordata italiana per Parmalat che stenta a formarsi? “Sì, ma non soltanto a quello. Ricordo bene quando in Italia in passato, a grandi capitalisti come Carlo De Benedetti, sono state impedite acquisizioni di aziende italiane. La politica ha temuto in passato che potessero nascere figure di imprenditori che avrebbero potuto avere anche un rilievo politico. Ricordo ad esempio che per la Zanussi si preferì di fatto una soluzione internazionale tipo Electrolux rispetto a opzioni nazionali”. Veramente l'Ingegnere è stato bloccato in passato anche in Francia: “Esatto. Ma non c'è solo De Benedetti. Vogliamo parlare di aziende energetiche?”. Parliamone: “Non sarebbe possibile ad esempio una governance stile Edison in un gruppo francese. Parigi alza barriere elevatissime in difesa dei suoi asset strategici, quando sono ritenuti – secondo loro – sotto assedio. Insomma, la Francia impedisce agli stranieri di maramaldeggiare in casa sua. E vi ricordate il tentativo prontamente rintuzzato di Enel su Suez con la discesa in campo di Gaz de France in poche ore? O ci siamo dimenticati dell'appoggio immediatamente fornito dall'esecutivo parigino a Société Générale quando esplose il caso del trader Jérôme Kerviel?”.

    Da questi esempi, e dalla cronaca di questi giorni, Borghesi trae una convinzione netta: “Quello italiano è il capitalismo più accogliente al mondo – dice il banchiere e consulente – C'è uno shopping continuo e senza limiti. Siamo dei polli, per non usare un altro termine e con tutto il rispetto per il pollame”. Lo sguardo del banchiere d'affari si appunta pure al Crédit Agricole che si è insinuato nel settore finanziario, per non parlare dei francesi di Bnp che nel 2006 hanno comprato Bnl: “Solo la capacità manageriale di Fabio Gallia, amministratore delegato e direttore generale di Bnl, ha evitato che i francesi spostassero anche i centri decisionali”. Borghesi comunque distingue fra caso e caso. Sulla recente acquisizione di Bulgari da parte di Lvmh, per esempio, fa un distinguo: “L'operazione è stata ineccepibile, perché trasparente e conveniente per il mercato. Il gruppo di Bernard Arnault ha offerto agli azionisti di minoranza un premio cash cospicuo. E comunque non dimentichiamo che Bulgari è un marchio internazionale per vocazione, tanto che fattura l'80 per cento all'estero”. E ritiene che siano giustificati i paletti per un'azienda agroalimentare come Parmalat? E' proprio strategico per l'Italia un gruppo che produce latte e yogurt? “Assolutamente sì, ritengo che i paletti per un'azienda agroalimentare come Parmalat siano giustificati perché è una delle poche aziende strategiche importanti rimaste nel nostro paese”. Quindi fa bene Intesa Sanpaolo a lavorare per una operazione sistemica nazionale? “Sicuramente fa bene Intesa, che fa l'interesse suo e del paese”.