La capacità di Liz Taylor di trasformarsi da bambina prodigio in eterna star

Mariarosa Mancuso

Di Marlon Brando ricordiamo la canottiera. Di Elizabeth Taylor ricordiamo le sottovesti. Ne aveva una di seta bianca nella “Gatta sul tetto che scotta”, mentre cercava di attirare l'attenzione del marito Brick, in lutto per la morte del caro amico Skipper. Ma il consorte preferiva bere whisky e trascinarsi in camera da letto aggrappato alla stampella. Nel dramma scritto da Tennessee Williams, Brick e Skipper erano amanti. Nel film di Richard Brooks non potevano esserlo, per motivi di censura.

    Di Marlon Brando ricordiamo la canottiera. Di Elizabeth Taylor ricordiamo le sottovesti. Ne aveva una di seta bianca nella “Gatta sul tetto che scotta”, mentre cercava di attirare l'attenzione del marito Brick, in lutto per la morte del caro amico Skipper. Ma il consorte preferiva bere whisky e trascinarsi in camera da letto aggrappato alla stampella. Nel dramma scritto da Tennessee Williams, Brick e Skipper erano amanti. Nel film di Richard Brooks non potevano esserlo, per motivi di censura. La radiosa Taylor che cerca di trascinarsi a letto il renitente Paul Newman sta nell'antologia delle scene francamente inverosimili. Con un'attrice meno brava, sarebbe stata un passo oltre il ridicolo. La seconda sottoveste, corpetto e orlo di pizzo, l'aveva addosso nel film “Venere in visone”. Pezzo forte del guardaroba di una squillo davvero di lusso, che usava il rossetto per scrivere i messaggi sulla specchiera. Se ci aggiungiamo il costume da bagno bianco che le impone la tremenda matriarca Violet Venable in “Improvvisamente l'estate scorsa” (Tennessee Williams again, serve per attirare i maschi sulla spiaggia perché il tessuto diventa trasparente), sappiamo cosa serve a una donna per essere davvero sexy. Pazienza se oggi una femmina così deliziosamente in carne non potrebbe sfilare sulle passerelle dell'alta moda. E vergogna a Richard Burton, che fu due volte suo marito, per aver detto, in risposta a chi si complimentava con lui per  avere sposato la donna più bella del mondo: “Ha bellissimi occhi viola, questo è vero. Ma ha troppo seno, le gambe corte e il doppio mento”. Seppe farsi perdonare regalandole un diamante da settanta carati (oltre a molti altri gioielli: allora le star di Hollywood i rubini e gli smeraldi li compravano, mica li prendevano a prestito). Dopo il divorzio, Elizabeth Taylor mise all'asta la pietra ricavandone 5 milioni di dollari, donati per costruire un ospedale in Botswana.

    La coppia litigava furiosamente nella vita, oltre che sulla scena. Le risse alcoliche in “Chi ha paura di Virginia Woolf?” – diretto da Mike Nichols nel 1966, procurò a Liz Taylor il secondo Oscar, sei anni dopo “Venere in visone” – fanno sembrare armonioso ogni altro matrimonio cinematografico. Fornì le cattiverie il commediografo Edward Albee, mentre toccarono a Shakespeare le scaramucce, e qualche sculacciata, usate da Petruccio per ricondurre alla ragione coniugale Caterina, nella “Bisbetica domata” con la regia di Franco Zeffirelli.
    Fu una delle rare bimbe prodigio a superare indenne l'adolescenza, senza rinunciare neppure per un giorno al suo ruolo di star. Guadagnato con “Torna a casa Lassie” e con “Gran Premio”, che strappò le lacrime al critico James Agee: “Ho per lei l'adorazione che uno scolaretto delle elementari può avere per la compagna di classe”. Mentre il recensore adulto mostrava il suo cuore tenero, lei era già un'attrice consumata. L'attore, anche lui ragazzino, Mickey Rooney pensò di darle una dritta da Actors Studio. “Per piangere – il cavallo prediletto sembrava moribondo, e addio Gran Premio di equitazione – immagina che tuo padre stia morendo, e tua madre dovrà fare la lavandaia per mantenerti”. Lei scoppiò a ridere, e girò la scena con il metodo Laurence Olivier: “Non faccio prima, se la recito e basta?”. Da grande, quando la invitavano a scrivere le sue memorie, diventava una furia: “Andate al diavolo. Le mie memorie le sto ancora vivendo”.