Plutonio contro

Luigi De Biase

Il 16 marzo, l'imperatore giapponese ha parlato alla tv pubblica e ha cercato di confortare centotrenta milioni di cittadini feriti da un terremoto devastante e da una crisi atomica. Spero di cuore che il paese vada avanti tenendosi per mano, ha detto Akihito, nessuno può dimenticare la compassione in questo momento: non esiste altro modo per lasciarsi alle spalle i tempi di difficoltà.

    Il 16 marzo, l'imperatore giapponese ha parlato alla tv pubblica e ha cercato di confortare centotrenta milioni di cittadini feriti da un terremoto devastante e da una crisi atomica. Spero di cuore che il paese vada avanti tenendosi per mano, ha detto Akihito, nessuno può dimenticare la compassione in questo momento: non esiste altro modo per lasciarsi alle spalle i tempi di difficoltà. Il suo discorso, il primo in televisione da quando siede sul trono, ha distratto per qualche ora gli sfollati della costa orientale e i giornalisti stranieri, che hanno descritto con cura la calma di Akihito e la dignità del suo popolo (“gaman”), le code ordinate di fronte ai centri di soccorso e l'antica arte di fabbricare fiori con la carta (“ikebana”).

    Diciotto giorni dopo il messaggio dell'imperatore, pochi giapponesi hanno voglia di pensare ai ghirigori. Si protesta di fronte alla sede di Tepco, la compagnia che controlla l'impianto atomico di Fukushima, sulla costa est, ormai vicino al punto di fusione; ci sono scontri feroci in Parlamento, con i deputati che chiedono misure più efficienti per fronteggiare la crisi; migliaia di famiglie programmano la fuga da Tokyo, dove la radioattività aumenta di giorno in giorno. Lo spirito del paese è meno mitico, meno stoico di quanto facesse pensare nel discorso di Akihito. Oggi la pazienza lascia il posto alla stanchezza, le code ai centri di primo soccorso saranno pure ordinate, ma qualche “vaffa” con inchino si sente anche in Giappone. “E' come se la mia storia fosse finita – dice al Foglio Akiko, trent'anni, gli ultimi dieci passati a suonare il violoncello nei più grandi teatri del paese – Alcune delle compagnie con le quali lavoravo sono state spazzate via in poche ore. Dal governo non arrivano notizie precise, non ci fidiamo neppure a bere l'acqua dei rubinetti. Non protesto perché so che nulla cambierebbe. Ma se le cose vanno avanti così, restare a Tokyo sarà impossibile”.

    Il primo ministro, Naoto Kan, un politico esperto del Partito democratico, non si può permettere il distacco dell'imperatore. E' finito di fronte alle telecamere quasi ogni giorno dall'inizio della catastrofe e il più delle volte lo ha fatto indossando la tuta dei soccorritori, come a dire che si lavora anche nei palazzi del governo. Fra i popoli che vivono lungo l'anello di fuoco, la striscia di crosta meno stabile del pianeta, i giapponesi sono quelli che hanno più coscienza dei terremoti: si preparano ad affrontare il pericolo negli asili e negli uffici, cercano di gestire la forza che li può distruggere, in un certo senso hanno trasformato il rischio in un affare quotidiano. Kan sapeva che avrebbe potuto affrontare un sisma quando è diventato capo del governo. Quello che ha colpito il paese l'11 marzo era il più forte di sempre, magnitudo 9, ventimila fra morti e dispersi nella parte nord del paese. Kan sapeva pure che avrebbe potuto fare i conti con le frustate di uno tsunami, arrivate regolarmente mentre la terra ancora tremava. Non capitava nulla del genere dal 1923, quando un terremoto colpì Tokyo e Yokohama e si portò via centoquarantamila vite.

    Le conseguenze di un terremoto si vedono – e quindi si possono governare. Ogni catastrofe ha la propria storia: una diga che crolla produce un'inondazione, un impianto petrolifero può esplodere, un grattacielo che s'affloscia diventa detriti da rimuovere. Ma il vero problema di Kan non ha a che fare con la ricostruzione. Il problema si trova sulla costa est, a duecento chilometri da Tokyo, ed è invisibile. Per questo è difficile da comprendere. Nella città di Fukushima, poche squadre di tecnici tentano di raffreddare i reattori di un impianto nucleare che è al punto di collasso. Sono sei torri disegnate per resistere a un attacco terroristico, ma non a un terremoto e a uno tsunami come quelli che hanno castigato la costa orientale. I tecnici si danno il cambio di frequente per evitare di essere contaminati. In patria sono considerati eroi, vivono in un accampamento chiamato J-Village che si trova poco lontano dalla centrale. Anche qui, come nelle strade di Tokyo, l'ikebana è passato di moda già da qualche settimana.

    Nelle prime ore il governo ha rassicurato i giapponesi: non ci sarà alcuna fuga radioattiva nelle nostre centrali, ha detto il premier, stretto nella giacca blu, fra scuse e inchini di fronte alla bandiera. E' stata la generazione di Hiroshima e Nagasaki, quella degli “hibakusha”, a chiedere agli amministratori “maggiore senso della crisi”. Gli hibakusha avevano ragione, perché l'emergenza si è rivelata nel giro di pochi giorni. Questo non significa che le autorità abbiano ammesso la vera dimensione del disastro. A Tokyo hanno cominciato a capire quando Tepco ha ordinato ai suoi dipendenti – 800 persone, per lo più tecnici specializzati e ingegneri – di lasciare Fukushima. E' stato allora che sono intervenute le squadre di emergenza, cinquanta uomini ai quali è stato chiesto di portare a termine un compito preciso: impedire che l'uranio contenuto nei reattori fondesse.

    Il terremoto ha bloccato il sistema di raffreddamento della centrale, che dipende da un impianto elettrico. Anche il secondo sistema, gestito da una serie di batterie, ha fallito al momento di entrare in funzione. Il mix di uranio e di plutonio usato come combustibile è rimasto senza liquido e si è surriscaldato rapidamente. Gli scienziati giapponesi affrontano da giorni lo scenario peggiore, ma non c'è letteratura che li possa aiutare. L'incidente di Fukushima è più grave di quello capitato a Three Miles Island nel 1979, e ha poco a che fare con quello di Chernobyl dell'86. Questa crisi è un disturbo profondo per il Giappone, che ha basato il proprio sviluppo sull'atomo e ora non riesce a gestire il prodotto della sua stessa scienza. Fatte le dovute proporzioni, è come se un meccanico scoprisse di non riuscire a riparare la propria auto.

    Sinora i tecnici hanno sparato acqua di mare direttamente sui reattori; hanno impiegato elicotteri militari; hanno pensato anche di ricorrere agli aerei senza pilota dell'esercito americano. Quando sono riusciti a riportare la corrente elettrica nell'impianto, lacrime e sorrisi sono tornati fra i container del J-Village. Ora vogliono iniettare nitrogeno nell'impianto per scongiurare il pericolo di un'esplosioni. Ma nessuna soluzione ha avuto successo e la temperatura delle barre di uranio continua a salire. La crisi si è propagata dal reattore numero uno al quattro, che è stato colpito persino da un incendio. Almeno tre diverse esplosioni hanno danneggiato le strutture del secondo e del terzo reattore, dove una parte del nocciolo avrebbe già raggiunto il punto di fusione. Tracce radioattive provenienti da Fukushima sono state raccolte in tutto il paese, nel resto dell'Asia e sulle Alpi – il livello della loro pericolosità è giudicato “bassissimo” in Europa. Il governo ha stabilito un'area di sicurezza di trenta chilometri intorno alla centrale. Chi vive all'interno della striscia può lasciare “volontariamente” la propria abitazione. Gli Stati Uniti pensano che il problema sia molto più serio e hanno chiesto ai loro cittadini di stare a ottanta chilometri da Fukushima. Ci sono paesi che stanno già pensando di spostare le loro sedi diplomatiche da Tokyo, considerata troppo vicina al luogo dell'incidente. I dati veri, tuttavia, rimangono misteriosi. Kan fatica a parlare perché non vuole crisi di panico, e molti pensano che questo atteggiamento nasconda un altro pericolo: Tepco avrebbe perso il controllo della situazione, non c'è nulla che si possa fare per riportare Fukushima alla normalità.

    La paura ha fatto nascere una serie
    infinita di leggende metropolitane in Giappone. Alcuni cittadini hanno detto di avere registrato livelli di radioattività superiori a quelli di Chernobyl. Altri sostenevano che l'imperatore Akihito e la moglie fossero scappati dal Giappone assieme al presidente di Tepco, Masataka Shimizu. La verità è diversa, ma soltanto in parte. Akihito e la moglie sono tornati in video, ripresi da una telecamera mentre visitavano un centro di accoglienza a Tokyo. E il potente Shimizu, scomparso nel nulla subito dopo l'inizio della crisi, sarebbe ricoverato in un ospedale di Tokyo per un “malore”.

    Come stanno veramente le cose a Fukushima? Il vero problema (e questa volta il problema non è soltanto di Kan) è che nessuno può rispondere con certezza a questa domanda, così com'è difficile ipotizzare che cosa potrebbe accadere nei prossimi giorni. Il governo ha deciso di chiudere la centrale, ma l'Agenzia atomica dice che serviranno “alcuni mesi” per spegnere l'impianto. Le radiazioni fanno già parte della vita quotidiana a Tokyo. Sono nella carne di manzo esaminata ogni giorno nella prefettura di Tenei, a mezz'ora di auto dalla centrale. Sono nell'acqua dell'oceano, dove si registrano tassi di radioattività tremila volte sopra la norma. Si trovano nelle piantagioni di spinaci che circondano Fukushima, che sono già contagiate dal plutonio. Stancamente, i giapponesi chiedono di avere informazioni dettagliate sul disastro atomico più consistente di questa epoca, perché si può affrontare soltanto quello che si conosce. E molti pensano che ricominceranno a bere l'acqua dai rubinetti prima di sapere tutta la verità su Fukushima.