Wikileaks svela la diplomazia vaticana che si oppone alla teocrazia islamica
Chi si stupisce del cambio di prospettiva che la diplomazia vaticana ha avuto in merito all'intervento militare in Libia (il Papa a distanza di sette giorni è passato da una moderata legittimazione alla richiesta di deporre le armi) dovrebbe guardare i cable diffusi da Wikileaks e pubblicati in queste ore dal quotidiano indiano The Hindu, relativi alla politica tenuta dalla Santa Sede dal 2001 a oggi circa le azioni militari svolte dagli Stati Uniti in medio oriente. Nel 2002 Agostino Migliore, oggi nunzio apostolico in Polonia, divenne nunzio presso le Nazioni Unite.
Chi si stupisce del cambio di prospettiva che la diplomazia vaticana ha avuto in merito all'intervento militare in Libia (il Papa a distanza di sette giorni è passato da una moderata legittimazione alla richiesta di deporre le armi) dovrebbe guardare i cable diffusi da Wikileaks e pubblicati in queste ore dal quotidiano indiano The Hindu, relativi alla politica tenuta dalla Santa Sede dal 2001 a oggi circa le azioni militari svolte dagli Stati Uniti in medio oriente. Nel 2002 Agostino Migliore, oggi nunzio apostolico in Polonia, divenne nunzio presso le Nazioni Unite. Fu lui a confermare agli Stati Uniti che, dopo la prudenza iniziale circa l'intervento americano in Afghanistan, la Santa Sede cambiò atteggiamento tanto che, come scrisse l'allora ambasciatore americano presso la Santa Sede Jim Nicholson, Papa Wojtyla “disse di credere che gli eventi dell'11 settembre erano davvero un attacco non solo agli Stati Uniti ma a tutto il genere umano, e che noi eravamo giustificati a intraprendere azioni di difesa”. Successivamente all'attacco in Afghanistan la linea mutò ancora, come testimonia il no di Wojtyla all'intervento in Iraq: “E' un crimine contro l'umanità e un peccato capitale”, disse l'allora ministro degli Esteri della Santa Sede, il francese Jean-Louis Tauran.
Anche la nuova diplomazia che cresce all'ombra del pontificato di Papa Ratzinger ha ben chiaro nel suo Dna che c'è la possibilità di cambiare in corsa visione e prospettiva. Perché la parola d'ordine è una: realismo. Se una cosa vale oggi potrebbe non valere più domani. E viceversa.
Dopo Migliore, Antonio Vegliò. Su di lui, nunzio in Kuwait, in Libano, segretario delle Chiese orientali e oggi presidente del Pontificio consiglio per i migranti, stanno girando alcuni cable. Dove si legge che se, in generale, le antenne della Santa Sede sono state sempre pronte a captare i messaggi diversi provenienti dal mondo arabo (e quindi a questi adeguarsi), c'è però una convinzione ben radicata in Vaticano che riguarda i paesi a maggioranza islamica del medio oriente: sono per la maggior parte delle teocrazie da democratizzare. Spiega Vegliò che occorre dare la possibilità agli stati mediorientali di divenire davvero laici in modo da tramutare i diversi regimi “in qualcosa di migliore delle semplici teocrazie”. E, ancora: “In molti stati arabi la Costituzione è solo e soltanto il Corano”. Mentre le cose dovrebbero essere diverse: “I paesi islamici non dovrebbero più avere il Corano come Costituzione quanto muoversi verso governi più democratici e tolleranti”.
Le preoccupazioni della Santa Sede sono note da tempo e riguardano principalmente quelle minoranze cristiane le cui condizioni di vita sono in molti paesi difficili se non impossibili. Dice ancora Vegliò nei cable diffusi da Wikileaks: “I cristiani stanno lasciando il medio oriente in gran numero, comunità cristiane millenarie si estinguono”. E ancora: “In molti oggi sono costretti a emigrare, è quanto i musulmani radicali vogliono”.
Non è a caso che lo scorso autunno Benedetto XVI abbia convocato un Sinodo per tutelare le minoranze cristiane del medio oriente. Qui diversi vescovi locali hanno criticato pesantemente l'islam, laddove diventa teocrazia. L'arcivescovo di Madrin dei Siri, Raboula Antoine Beyluni, disse che il Corano “ordina di imporre la religione con la forza, con la spada”, dando “al musulmano il diritto di giudicare i cristiani e di ucciderli con il jihad”. E ancora: “Non stupisce vedere tutti i paesi arabi e musulmani rifiutarsi di applicare integralmente i diritti umani sanciti dalle Nazioni Unite”. Anche Flavien Joseph Melki, vescovo ausiliario di Antiochia dei Siri in Libano, usò parole analoghe. Si chiese se “è pensabile” che in tali paesi, “in cui il fondamentalismo continua a inasprirsi, accetteranno di abbandonare i loro regimi teocratici, fondati sul Corano e sulla sharia, che comportano discriminazione nei confronti dei non musulmani”. Ma, ha concluso, “mi sembra utopico per i secoli a venire”. Infatti “a eccezione del Libano”, i cristiani sono “sottoposti da 14 secoli a molteplici forme di persecuzione, di massacro, di sopruso e di umiliazione”. Per questo è necessario “agire senza tardare, per riformare questi regimi islamici”, perché i cristiani locali “devono essere aiutati dalla chiesa universale e dai paesi democratici”. E' un leitmotiv ben presente in Vaticano. Almeno dal 2001 in poi. Seppure dopo le polemiche seguite alla lectio del Papa a Ratisbona fatica a uscire allo scoperto.
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