La conversione alla laïcité
La République si vive a viso scoperto, è lo strillo di migliaia di manifesti a sfondo blu con l'effigie di Marianna affissi per ricordare che dal prossimo 11 aprile l'interdizione del burqa in tutti i luoghi pubblici sarà effettiva.
La République si vive a viso scoperto, è lo strillo di migliaia di manifesti a sfondo blu con l'effigie di Marianna affissi per ricordare che dal prossimo 11 aprile l'interdizione del burqa in tutti i luoghi pubblici sarà effettiva. Secondo il ministero dell'Interno le donne che indossano abitualmente il copricapo integrale sarebbero poco meno di duemila, una goccia nella marea di immigrati che ha fatto della religione islamica la seconda del paese. Eppure è proprio su un terreno così scivoloso che Nicolas Sarkozy ha deciso di fare la mossa del cavallo in vista delle elezioni presidenziali del 2012. Il presidente sa che sta perdendo terreno. Che a destra il Front national sta ritrovando i consensi di un tempo, che Marine Le Pen, suo leader nonché figlia del fondatore del partito, è sempre più popolare: alla Francia profonda evidentemente piace la crociata contro i musulmani che pregando per strada dove e quando vogliono si comporterebbero “come una forza d'invasione ancora più pericolosa perché all'apparenza disarmata”. Sarkozy dunque sa di avere pochi mesi per tagliarle l'erba sotto i piedi e riconquistare il suo elettorato. Con il convegno che inizia oggi, l'Ump, il partito della maggioranza presidenziale, è chiamato a partire a sua volta per la campagna in difesa del principio di laicità.
Pur dettata da necessità politiche contingenti questa è una svolta nel pensiero sarkozista e non di poco conto. Da ministro negli anni 2003 e 2004 si era smarcato dall'allora presidente ultra laico Chirac intenzionato a risolvere ope legis il conflitto sorto negli anni Ottanta e Novanta nei licei, dove c'erano ragazze musulmane che non volevano togliere il chador. Chirac nominò una commissione presieduta dal centrista Bernard Stasi. I soliti punti di vista, inconciliabili: imporre un più grande rispetto della pratica religiosa e della laicità senza stabilire una gerarchia di valori tra l'una e l'altra. E proposte che non potevano che fare a pugni: insegnare di più nelle scuole la laicità e la religione, essere intransigenti di fronte a quelli che vogliono modificare i programmi scolastici per esempio diminuendo l'importanza delle teorie evoluzioniste, incorporare le feste religiose non cristiane come lo Yom Kippur e l'Aïd-el-Kebir nel calendario scolastico in modo da far calare l'assenteismo. Insomma una grande confusione, come ogni volta che si è provato a rispolverare “la laïque” come religione che valga nelle strade nelle scuole, negli uffici postali, negli ospedali, nei tribunali, nelle amministrazioni, sugli autobus, sui treni, nel metrò, insomma nei non luoghi, come direbbe Marc Augé. Chirac semplifica a modo suo e fa riprendere una parte delle conclusioni in un progetto di legge che vieta di indossare nelle scuole segni e tenute ostensibili di appartenenza religiosa.
In linea con il principio di laicità come ineliminabile riferimento collettivo della cultura della République e della vita delle sue istituzioni, l'Assemblée nationale approva con quattrocentonovantaquattro voti contro trentasei, quindi con il sostegno massiccio della sinistra, il testo nel 2004. Nicolas Sarkozy invece ha sempre pensato che malgrado le roboanti dichiarazioni di principio quel laicismo non fosse più all'altezza del tempo, che erigesse un muro contro il ritorno del sentimento religioso riscontrabile in molti paesi.
La stessa legge Ferry che dal 1905 ispira e governa le relazioni tra stato e sfera religiosa, secolarizzando il primo e relegando le seconde all'ambito dell'opinione privata, sembrava tanto più polverosa che sotto le spinte anticlericali della Terza Repubblica aveva trasformato lo spirito laico di Epicuro, Marco Aurelio e John Locke in dogma illuministico, in limite invalicabile malgrado le sue intrinseche contraddizioni. Come ad esempio quella di valere nella “metropole” ma non nelle colonie. Non in Algeria dove furono accettate le usanze locali nella scelta del culto e dei ministri, cosa che avrà non poche conseguenze sul processo di integrazione dei musulmani dal 1960 in poi. Non a Mayotte dove rimase addirittura in vigore la sharia. E nemmeno nella marca di confine, l'Alsazia e Mosella, che per le sue scuole volle e ottenne il regime concordatario. Sarkozy allora dubitava dunque e molto del fondamentalismo laicista della République.
Guardava semmai con interesse al modello americano, in apparenza più cogente di quello francese. Nei due testi fondatori degli Stati Uniti, la Costituzione e la Dichiarazione dei diritti, i primi dieci emendamenti, non c'è nessun riferimento a Dio né alla Provvidenza, ma questo anziché impedire ha incoraggiato il fiorire dello spirito religioso e delle comunità. Madison e Jefferson sembravano rispondere alle necessità dell'integrazione etnica e alla convivenza religiosa in Francia, e in prospettiva in Europa, meglio delle occhiute vestali della laïcité.
Oggi che è presidente agli sgoccioli e in evidente difficoltà sceglie di rimetterla al centro del dibattito. Il momento scelto non è dei migliori, il nord Africa e il mondo arabo sono scossi da ansie di libertà e, si spera, di democrazia. Sarkozy si muove all'unisono con Angela Merkel e David Cameron, entrambi scettici sul ben portato del multiculturalismo, ma né la cancelliera tedesca né il premier britannico hanno da farsi perdonare gaffe sciagurate come quella della Francia con il popolo tunisino. E a differenza della Francia non si sono fatti prendere troppo dall'affaire libico. In patria il presidente ha suscitato il solito vespaio. La Conferenza dei responsabili di culto che riunisce buddisti, cattolici, ebrei, musulmani, ortodossi e protestanti di Francia, chiede una laicità di buona intelligenza e un dibattito non “sui” musulmani ma con essi.
L'opposizione parla ovviamente di tentativo scoperto e maldestro di recuperare consensi e voti ricacciando indietro la ribalda Marine Le Pen. Ma Sarkozy tira dritto, dice che il paese ha pagato troppo caro la cecità degli anni Ottanta, quando il dibattito sull'immigrazione era un tabù, per ripetere lo stesso errore oggi su laicità e islam: “In un paese laico non ci devono essere richiami alla preghiera in strada” ha detto ai deputati della maggioranza chiedendo che si arrivi a “un corpus ideologico” entro il 2011. Ma anche fra i suoi c'è chi mugugna, a cominciare dal primo ministro Fillon. Sono molti a non vedere di buon occhio una revisione della loi Ferry per cosentire allo stato di finanziare la costruzione di nuove moschee. Ma è difficile negare che ce ne sia bisogno: non è lontano infatti il giorno in cui l'islam sarà la prima religione in Francia.
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