Maliziosissimo sospetto sui grandi scoop del grande cronista dell'Espresso

Stefano Di Michele

Senza ironia, ci mancherebbe: Fabrizio Gatti è un grande giornalista. E' lo Zelig dell'inchiesta. E' il Fantômas della cronaca. Fantastico, c'è da dire. Dove uno s'arrabatta in redazione col caporedattore, lui fronteggia la gendarmeria francese. Dove di solito uno cerca di sfuggire l'occhio del direttore, lui fa lo stesso con quello di un fetido caporale (cioè atto al caporalato, non di caserma). Dove un qualunque collega tra il pelandrone e l'ozioso scarica il lavoro su una povera stagista, lui sfugge da clandestino allo sbirrame italico.

    Senza ironia, ci mancherebbe: Fabrizio Gatti è un grande giornalista. E' lo Zelig dell'inchiesta. E' il Fantômas della cronaca. Fantastico, c'è da dire. Dove uno s'arrabatta in redazione col caporedattore, lui fronteggia la gendarmeria francese. Dove di solito uno cerca di sfuggire l'occhio del direttore, lui fa lo stesso con quello di un fetido caporale (cioè atto al caporalato, non di caserma). Dove un qualunque collega tra il pelandrone e l'ozioso scarica il lavoro su una povera stagista, lui sfugge da clandestino allo sbirrame italico. E dove, infine, uno si butta fintamente malato, lui pattuglia l'intero Policlinico scoprendone ogni nefandezza. E' un tipo raro, Fabrizio Gatti, cronista principe dell'Espresso. Uno che scrive poco e vede molto – così che quello che scrive molto vale (per dire, certi colleghi, con tutta quella roba, sarebbero capaci di tirare fuori almeno un volume a ogni cambio di stagione: anzi, alcuni già lo fanno, pure senza tutta quella roba). Così che spesso, leggendo un reportage di Gatti, si ha l'impressione di ritrovarsi tra “Il fuggitivo” e “Una estranea fra noi” – il buono che s'associa, che condivide sorte e rischio. Un giornalista a un passo dall'eroe civico. Leggi e lo segui con il batticuore: ore, giorni, settimane – un diario scandito, pagina dopo pagina.

    Eccolo mentre copia lo stratagemma di “Papillon”, il film sulla Cayenna con Steve McQueen – “Un nome inventato e tuffo in mare. Non serve altro per essere rinchiusi nel centro per immigrati di Lampedusa” – per raccontare l'inferno dall'interno, “dal pavimento sale un fortissimo odore di urina”. Ancora un anno, e, fingendosi rumeno, sforna un emozionante resoconto sulla condizione di schiavi senza diritti che tocca agli immigrati che raccolgono pomodori in Puglia – poveracci disperati, orrendi profittatori. Un altro anno, e Fabrizio Gatti stavolta è travestito da uomo delle pulizie al Policlinico di Roma. Per un mese, ramazza e annota. Alla fine, altra clamorosa inchiesta. Adesso, sull'Espresso, lo ritroviamo a inizio articolo ammanettato insieme ad “Ahmed, altri due tunisini e io, un giornalista infiltrato”, in una stanza della Caserne d'Auvare, “secondo loro, i gendarmi che ci hanno arrestati, siamo quattro clandestini”. Bravissimo come sempre, Gatti. E come sempre non si è fatto scoprire. Ora, Fabrizio sarà pure Zelig, ma alla fine magari i poliziotti non lo arrestano proprio perché lo riconoscono: ragazzi, facciamo finta di niente, è meglio, è un giornalista travestito. Fosse così, sarebbe bellissimo: sbirro sensibile, non solo coglione.