La favola di Krugman
Catastrofisti di tutto il mondo, ri-unitevi. Gli appassionati di global warming antropogenico, dopo parecchi mesi passati nell'angolo a meditare sui propri errori, hanno rialzato la testa; come se niente fosse successo nel frattempo, tornano a ripetere gli stessi abusati argomenti che andavano forte prima del Climategate. Ma per la serie “il clima c'entra più con la politica che con la scienza”, ecco un episodio illuminante raccontato anche dal commentatore liberal e Nobel per l'Economia Paul Krugman sul New York Times
Catastrofisti di tutto il mondo, ri-unitevi. Gli appassionati di global warming antropogenico (causato dalle emissioni prodotte dall'uomo), dopo parecchi mesi passati nell'angolo a meditare sui propri errori, hanno rialzato la testa; come se niente fosse successo nel frattempo, tornano a ripetere gli stessi abusati argomenti che andavano forte prima del Climategate (lo scandalo che ha colpito diversi scienziati beccati a scambiarsi mail su come truccare i dati delle temperature globali). Ma per la serie “il clima c'entra più con la politica che con la scienza”, ecco un episodio illuminante raccontato anche dal commentatore liberal e Nobel per l'Economia Paul Krugman sul New York Times, in un articolo dall'inequivocabile titolo: “La verità, ancora scomoda” (“Una scomoda verità” era il titolo del film premio Oscar di Al Gore sui rischi del global warming, scientifico quanto un romanzo di Isaac Asimov).
Un team di fisici e statistici dell'Università di Berkeley, guidati dal professor Richard Muller, ha compiuto una serie di studi per verificare la credibilità dei dati sul riscaldamento globale normalmente sbandierati dagli allarmisti. In un'audizione al Congresso americano di qualche giorno fa Muller ha spiegato che i risultati ottenuti dalla sua squadra sono in linea con quelli riportati da altri. Il global warming c'è, insomma. Duplice sorpresa, in questo caso: Muller infatti è noto per le sue posizioni scettiche sul tema, e – come fa notare un gongolante Krugman – il Berkley Earth Project è pagato dai repubblicani americani (nello specifico dai fratelli Koch, finanziatori storici dei conservatori statunitensi), certo lontani dalle posizioni catastrofiste dei democratici e del loro campione Al Gore.
E' dagli imbarazzi dei conservatori di fronte a questa storia che Krugman comincia la sua predica: “E' chiaro che l'agenda politica – scrive – è nelle mani dei negazionisti climatici, e nessuno tra quanti seguono il dibattito ha creduto per un momento che loro avrebbero accettato un risultato che conferma il global warming”. Poi l'Esopo dei liberal ci spiega che la questione non è più scientifica, ma morale. La-favola-ci-insegna-che gli scienziati “potrebbero anche avere torto, ma chi lo sostiene ha la responsabilità morale di affrontare la questione con profonda serietà e mente aperta. Comunque, se gli scienziati avessero invece ragione, si rischia un danno irreparabile”. Il problema, scrive Krugman, è che “difficilmente qualcuno capisce qualcosa quando è pagato proprio per non capirla”. Poi, per evitare che il suo sembri un attacco al Partito repubblicano, conclude dicendo che naturalmente quello del global warming è un problema che investe non solo il Gop, ma tutta “la razza umana”.
A parte il fatto che gli studi di Muller sono molto provvisori (al momento il suo team ha analizzato solo il due per cento degli oltre 1,6 miliardi di dati in suo possesso), il Berkley Earth Project ha avuto il merito – scriveva ieri il Los Angeles Times in perfetto giornalese – di riportare il climate change al centro del dibattito: ieri il Wall Street Journal affrontava il tema con una pagina intera a firma del matematico Douglas J. Keenan titolata con la più retorica delle domande: “Quanto è scientifica la scienza che studia il clima?”. La risposta, altrettanto retorica ma ben radicata nella realtà, è semplice: poco. Per questo servono ancora ricerche e studi approfonditi per fare la scelta giusta in un campo che non tocca soltanto la qualità dell'aria che respiriamo o la quantità di neve su cui scieremo il prossimo inverno, ma l'assetto delle economie di tutti i paesi del mondo.
Che sull'argomento ci sia ancora un po' di confusione lo dimostra un divertente e istruttivo catalogo pubblicato pochi giorni fa dal blog dello "scettico” Anthony Watts, “Watts Up With That?” (e ripreso in Italia da Climate Monitor): negli ultimi anni, le “evidenze” scientifiche dei danni che il cambiamento climatico porterà al nostro pianeta sono state quantomeno ondivaghe. Nell'ordine: la stagione secca in Amazzonia è più verde; la stagione secca in Amazzonia è meno verde; le valanghe potrebbero aumentare; le valanghe potrebbero diminuire; la migrazione degli uccelli è più lunga; la migrazione degli uccelli è più breve; la migrazione degli uccelli è diversa; le locuste cinesi si affollano quando è più caldo; le locuste cinesi si affollano quando è più freddo; gli atolli corallini affondano; gli atolli corallini si sollevano; la rotazione della Terra rallenta; la rotazione della Terra accelera; l'Africa orientale avrà meno pioggia; l'Africa orientale avrà più pioggia; meno neve sui Grandi Laghi; più neve sui Grandi Laghi; la Corrente del Golfo rallenta; la Corrente del Golfo accelera un po'; i Monsoni indiani saranno più umidi; i Monsoni indiani saranno più secchi; gli inverni potrebbero essere più caldi; gli inverni potrebbero essere più freddi; i calamari diventano più piccoli; i calamari diventano più grandi; la malaria potrebbe aumentare; la malaria potrebbe continuare a diminuire; la malaria aumenterà nel Burundi; la malaria diminuirà nel Burundi; l'Atlantico settentrionale meno salato; l'Atlantico settentrionale più salato; la banchisa settentrionale diminuirà; la banchisa settentrionale aumenterà; meno nebbia a San Francisco; più nebbia a San Francisco; e così via. La morale? Chiedetela a Krugman.
Il Foglio sportivo - in corpore sano