“Basta con le accozzaglie”. Perché il caso Sicilia ora spaventa Bersani

Claudio Cerasa

C'è un sondaggio preciso che in questi giorni sta facendo tremare i polsi dei massimi dirigenti del Partito democratico. Un sondaggio che arriva dalla Sicilia, che arriva a tre anni dalle ultime elezioni politiche e che, in un certo senso, ha messo ancora una volta in discussione uno dei punti principali della strategia scelta dal segretario del Partito democratico per costruire l'alternativa all'attuale maggioranza di centrodestra.

    C'è un sondaggio preciso che in questi giorni sta facendo tremare i polsi dei massimi dirigenti del Partito democratico. Un sondaggio che arriva dalla Sicilia, che arriva a tre anni dalle ultime elezioni politiche e che, in un certo senso, ha messo ancora una volta in discussione uno dei punti principali della strategia scelta dal segretario del Partito democratico per costruire l'alternativa all'attuale maggioranza di centrodestra. Una strategia che oggi qualcuno chiama “soluzione d'emergenza”, che qualcuno chiama “patto tra le opposizioni”, che qualcuno chiama “alleanza costituzionale”, che qualcuno chiama “patto democratico”, che qualcuno, con un tono vagamente più nostalgico, chiama “un nuovo grande Ulivo” ma che in fin dei conti viene perfettamente sintetizzata da quella strana formula conosciuta da tutti con quelle due parole scandite minacciose da molti dirigenti democratici: la “San-ta al-le-an-za”.

    E così mentre i vertici del Pd continuano a ripetere che l'unica cosa certa per il futuro del Partito democratico sia appunto quella di costruire, a qualunque costo, una “grande coalizione” che riesca a coinvolgere tutte le forze dell'opposizione, capita che dall'unica regione d'Italia in cui la super mega alleanza è stata davvero sperimentata arrivino segnali poco incoraggianti dagli elettori democratici. “Se si votasse oggi per il Parlamento nazionale – si legge tra le righe della rilevazione del sondaggio Demopolis effettuata tra il 26 marzo e il 31 marzo 2011 – il Partito democratico otterrebbe in Sicilia il 18 per cento dei consensi, smarrendo per strada 250 mila voti e quasi otto punti percentuali rispetto alle ultime Politiche dell'aprile 2008”.

    Un po' perché il sondaggio arriva dalla Sicilia (regione in cui da poco meno di un anno un buon pezzo del Partito democratico fa parte di una grande alleanza che raggruppa oltre all'Mpa di Raffaele Lombardo anche pezzi di Futuro e libertà e dell'Udc); un po' perché negli ultimi tempi il tema del “patto delle opposizioni” è stato riproposto in modo insistito da due tra i massimi teorici dell'argomento (Dario Franceschini, il 27 marzo, e Massimo D'Alema, il 29 marzo); un po' perché, per via delle elezioni amministrative, la Santa alleanza è improvvisamente tornata ancora una volta di moda (vedi il caso Olbia di cui abbiamo parlato a lungo la scorsa settimana su questo giornale): un po' forse per tutte queste ragioni messe insieme il fatto è che quel sondaggio il Partito democratico sembra averlo preso particolarmente sul serio.

    “In un certo senso – ammette Giuseppe Fioroni – quella rilevazione è stata un colpo notevole per il nostro partito e credo che oggi sia molto difficile non chiedersi se non sia il caso di mettere da parte quella strana formula che da qualche tempo il nostro partito utilizza forse con troppa disinvoltura. La Sicilia, a proposito di Santa alleanza, non si può certo dire che costituisca per noi un'esperienza di successo, e proprio non si capisce perché il nostro partito debba continuare a percorrere delle strade che sembra siano destinate a farci sbattere, alla fine, solo contro un palo”.

    In questi mesi, si sa, il caso siciliano ha avuto l'effetto di cristallizzare in modo piuttosto reale le posizioni dei due fronti nel Pd che si contrappongono vivacemente quando si parla di questo famoso “patto per le opposizioni”. La segreteria Bersani – dal giorno in cui quella parte di Pd guidata da Antonello Cracolici (capogruppo del Pd all'Ars), Beppe Lumia (importante senatore siciliano del Pd) e Giuseppe Lupo (segretario regionale del Pd) ha scelto di entrare a far parte della giunta Lombardo – non ha mai fatto a meno di notare come il caso siciliano possa essere “un interessante laboratorio politico per tentare di costruire una grande coalizione alternativa al berlusconismo” e se è vero che anche Massimo D'Alema ha di fatto sponsorizzato, dal principio, quella strana miscela nata all'Assemblea regionale tra democratici, futuristi e lombardiani, non si può certo dire che le stesse parole di elogio siano arrivate dalle parti della corrente guidata da Veltroni e da Fioroni. “Dovrebbe essere ormai chiaro – spiega Alessandro Maran, vicecapogruppo del Pd alla Camera e membro di Modem – che l'eccessivo utilizzo di questa maledetta formula del ‘tutti insieme', dell'Union sacrée contro Berlusconi, sia uno dei fattori che impediscono ai riformisti italiani di utilizzare la crisi di credibilità di Berlusconi per mettere in campo con successo un'iniziativa di sfondamento nel campo avversario. E l'idea che anche in vista delle amministrative il nostro mantra debba essere necessariamente quello di promuovere a tutti i costi una ‘grande alleanza' non credo che possa essere di grande incoraggiamento per i nostri elettori”.

    L'impressione che si respira annusando le conseguenze politiche del caso Sicilia – caso che dovrebbe essere oggetto d'analisi al prossimo caminetto ristretto che verrà convocato dal Pd entro la fine del mese – è che nei prossimi giorni il famoso laboratorio siciliano potrebbe davvero trasformarsi in un nuovo punto di rottura tra la maggioranza del Pd e la minoranza veltroniana e fioroniana. Come spiega ancora al Foglio l'ex ministro dell'Istruzione, “bisogna che una volta per tutte sia chiaro che più che una grande alleanza qui, a noi, serve un grande coraggio d'innovazione. In Sicilia – dice Fioroni – io sono dell'idea che la nostra alleanza dovrebbe essere sottoposta a un referendum popolare; perché a me dalla testa non me lo toglie nessuno che continuare ad andare in giro proponendo un giorno sì e l'altro pure progetti il cui cuore politico è una specie di: ‘noi ci alleiamo con chi ci sta' non è esattamente l'ideale per un partito, come il nostro, che vuole e può essere davvero alternativo a questo centrodestra”.

    “Per quanto mi riguarda – dice al Foglio anche Matteo Renzi, sindaco di Firenze – resto convinto che in qualsiasi contesto l'idea della Santa alleanza sia oltre che un errore clamoroso anche un progetto perdente. Non credo che ci si possa continuare a nascondere dietro frasi del tipo ‘ehi ragazzi, siamo in una fase di emergenza democratica e dobbiamo stare tutti insieme' perché, se ci si pensa bene, rafforzare il sentimento del Berlusconi contro tutti e trasformare la contesa politica in un derby che fa solo il gioco del presidente del Consiglio equivale né più né meno a darsi una bella martellata in mezzo alle gambe. E francamente, non so voi, ma qui non ne sentiamo proprio il bisogno”.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.