Bernard-Henri Lévy, il filosofo più potente e più credulone del mondo
“Stavo per scrivere una facezia tipo: ‘Riuscite a immaginare il presidente Obama mentre dallo Studio ovale telefona a [inserire il nome di un filosofo americano] per discutere con lui se mandare o meno in guerra le truppe degli Stati Uniti?'. Ma non sono riuscito a trovare nemmeno un nome con cui la barzelletta avrebbe funzionato”. Lo ha scritto Foreign Policy in un corsivo dedicato a Bernard-Henri Lévy, “il filosofo più potente del mondo”, considerato il ruolo avuto nel convincere il presidente Sarkozy a intervenire in Libia.
“Stavo per scrivere una facezia tipo: ‘Riuscite a immaginare il presidente Obama mentre dallo Studio ovale telefona a [inserire il nome di un filosofo americano] per discutere con lui se mandare o meno in guerra le truppe degli Stati Uniti?'. Ma non sono riuscito a trovare nemmeno un nome con cui la barzelletta avrebbe funzionato”. Lo ha scritto Foreign Policy in un corsivo dedicato a Bernard-Henri Lévy, “il filosofo più potente del mondo”, considerato il ruolo avuto nel convincere il presidente Sarkozy a intervenire in Libia.
Ma, prima di diventare il più potente, BHL è stato il filosofo più credulone del mondo. Come si ricorderà, in un suo libro del 2010, “De la guerre en philosophie” (Grasset), il filosofo di casa all'Eliseo citava seriamente le tesi di Jean-Baptiste Botul (1896-1947), autore di otto conversazioni su Kant pubblicate postume nel 1999 con il titolo “La vie sexuelle d'Emmanuel Kant”, a cura di Frédéric Pagès. “All'indomani della Seconda guerra mondiale, nella sua serie di conferenze ai neokantiani del Paraguay, dimostrò che il loro eroe era un falso astratto, un puro spirito di pura apparenza”, ha scritto di Botul Bernard-Henri Lévy. Peccato che Botul, le sue conferenze e la comunità di “neokantiani del Paraguay” erano invenzioni di Pagès, firma del settimanale satirico “Le Canard enchaîné”.
Ne riparliamo perché ora anche i lettori italiani possono attingere direttamente all'opera di Jean-Baptiste Botul (il Melangolo ha appena tradotto “La vita sessuale di Kant”, 92 pagine, 8 euro, dopo una prima edizione del 2001 di Ombre Corte). Possono quindi chiedersi come sia stato possibile dar credito all'esistenza di una Nueva Königsberg, fondata da cittadini originari della stessa città di Kant, dediti alle sue stesse passeggiate quotidiane e al suo stesso bicchiere serale di vino d'Ungheria. Tutti fuggiti in Sudamerica nel 1945, quando “l'Armata rossa aveva conquistato la capitale dell'ex Prussia orientale trasformandola in Kaliningrad” e approdati in Paraguay dopo “un periplo rocambolesco e tragico che, ce ne rammarichiamo, non ha suscitato l'interesse di nessuno storico”, scrive Pagès nella presentazione.
Possibile che BHL non si sia almeno insospettito, nel leggere certi passi tratti dalle “conferenze” paraguaiane di Jean-Baptiste Botul? Per esempio: “Spesso i moralisti predicano la castità ma praticano i piaceri della carne. Kant fa il contrario: predica l'esercizio dei piaceri ma in pratica si astiene, si trattiene e si contiene. Che uomo straordinario!”. L'ostinato celibato di Kant, infatti, per Botul rappresenta insieme il “buco nero” e la quintessenza della sua filosofia, oltre che di ogni possibile filosofia: “C'è un punto sul quale Immanuel Kant suscita un'ammirazione incontestata e universale: il celibato. Tutte le sue tesi sono opinabili tranne una: il filosofo degno di questo nome non si sposa”.
In un irresistibile crescendo di colti rimandi (dalle notizie realmente riferite dai contemporanei sulla vita dell'autore della “Critica della ragion pura” alle testuali citazioni dalle sue opere, alle grottesche speculazioni attorno al suo sistema filosofico), Botul arriva finalmente al disvelamento della “cosa in sé”, “das Ding an sich, la cosa così com'è realmente, il noumeno kantiano, che esiste ma di cui non possiamo dimostrare nulla”. La sua conclusione è che “la Cosa è il Sesso. Non c'è dubbio”, e “questo desiderio voyeurista del sapere perennemente insoddisfatto è ciò che stimolava i saggi del secolo scorso, i quali giocavano volentieri a fare gli asceti nella loro vita professionale: nessuna donna nello studio o all'università, niente sesso, solo verità”.
Ma a Botul (e a BHL) non la si fa. Ci voleva l'inesistente filosofo di riferimento del vero filosofo di riferimento di Sarkozy, per smascherare quel santarellino di Immanuel Kant: “Conosciamo bene il rovescio di tale ascetismo: il bordello. La Verità che vorremmo tutta nuda attraverso l'esperienza e la speculazione, la contempliamo alla fine tra le gambe delle prostitute, professioniste della ‘cosa in sé'. I nostri avi d'altronde avevano gettato la maschera. Osservate la decorazione delle loro università, degli anfiteatri. Ovunque – dai muri ai soffitti – ci sono donne nude o seminude!”. Perfino negli affreschi della Sorbona, nota Botul, muse, dee e ninfe nude “escono direttamente da una casa di appuntamenti”. A discarico di BHL va detto che, dopo attenta lettura della “Vita sessuale di Kant”, non è possibile non dirsi botuliani.
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