Leggere Franzen e scoprire che il Romanzo è vivo. Astenersi critici-scrittori

Mariarosa Mancuso

Benedetta la separazione delle carriere tra scrittori e critici. Se esistesse, non saremmo tentati di leggere gli articoli di Tim Parks e Nicola Lagioia su “Libertà” di Jonathan Franzen alla debole luce dei risultati ottenuti dai due critici-scrittori nell'arte del romanzo (Domenicale del Sole 24 Ore). Non lo facciamo comunque, Oscar Wilde saprà perdonarci. Ma quanto a capolavori che non lo sono, i due critici temporaneamente sollevati dalla doppia militanza non sono secondi a nessuno.

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    Benedetta la separazione delle carriere tra scrittori e critici. Se esistesse, non saremmo tentati di leggere gli articoli di Tim Parks e Nicola Lagioia su “Libertà” di Jonathan Franzen alla debole luce dei risultati ottenuti dai due critici-scrittori nell'arte del romanzo (Domenicale del Sole 24 Ore). Non lo facciamo comunque, Oscar Wilde saprà perdonarci. Ma quanto a capolavori che non lo sono, i due critici temporaneamente sollevati dalla doppia militanza non sono secondi a nessuno. Per Tim Parks vale il giudizio in apertura di articolo su Peter Stamm, genio della prosa scarna e “della psicologia che teme la ricchezza e la densità” (tradotto: la noia fatta libro). Per Nicola Lagioia, valgono i peana a scrittori italiani non proprio trascinanti.

    Contro Jonathan Franzen, la strana coppia esercita una perfidia degna di miglior causa. Tim Parks deplora l'eccesso di dettagli – “Troppe note, troppe note”, disse l'Imperatore quando ascoltò il “Don Giovanni” di Mozart – e racconta il romanzo da cima a fondo, tanto peggio per il lettore coglione che sta a metà e vorrebbe goderselo fino all'ultimo. Nicola Lagioia parla di “soap opera”, e aggiunge “leggibilissima” come aggravante: gira gira, anche se scriviamo su Nazione Indiana, siamo sempre professori di provincia affezionati alla formula “non concede nulla al gusto del pubblico”. Del resto la scelta, in materia franzeniana, sembra essere tra il pregiudizio e la distrazione. Qualche settimana fa Alfonso Berardinelli e Franco Cordelli discutevano sul Corriere della Sera del futuro del Romanzo – inutilità, forza calamitosa che fa danni, distanza che lo separa dalla Letteratura Vera – senza accorgersi che in libreria era uscito “Libertà”. Bastava leggere il primo capitolo per capire che il genere gode ottima salute. E che Franzen ha un gran talento, unito al coraggio di fare a pezzi i radical chic (essendo lui radical chic, per giunta).

    I più snob (e i più pigri) se la cavano con “‘Le correzioni' era meglio”, costringendoci a rileggerlo per la terza volta, onde dirimere la delicata questione (metodo critico: “Vuoi più bene al papà o alla mamma?”). Però almeno una cosa Franzen la potrebbe insegnare a tutti, lui che quando non riusciva a ingranare aveva decretato la morte del romanzo. Parole sue: “Mi imbarazza ricordarlo: avevo confuso lo stato del mondo con la mia incapacità personale”. Chi non vuol leggere Franzen lo eviti. Ma di questo, faccia tesoro.

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