Niente prescrizione per il Cav. Caino

Stefano Di Michele

Alla fine, chiuso il dibattimento, ho votato per l'innocenza di Caino. Ho trovato che avesse molte attenuanti: una famiglia disagiata (due genitori sfrattati dal paradiso terrestre, non scherziamo), mai una mela per casa, un fratello tanto buono gradito a mamma Eva e a papà Adamo e a Dio, insomma a tutti – magari pure agli abbacchi che a Nostro Signore sacrificava e che Nostro Signore apprezzava (“il loro grasso”, nello specifico, e si capisce perché fosse così irritabile nel Vecchio Testamento: eccesso di proteine), mentre praticamente schifava le melanzane e i fagiolini del fratello maggiore.

    Alla fine, chiuso il dibattimento, ho votato per l'innocenza di Caino. Ho trovato che avesse molte attenuanti: una famiglia disagiata (due genitori sfrattati dal paradiso terrestre, non scherziamo), mai una mela per casa, un fratello tanto buono gradito a mamma Eva e a papà Adamo e a Dio, insomma a tutti – magari pure agli abbacchi che a Nostro Signore sacrificava e che Nostro Signore apprezzava (“il loro grasso”, nello specifico, e si capisce perché fosse così irritabile nel Vecchio Testamento: eccesso di proteine), mentre praticamente schifava le melanzane e i fagiolini del fratello maggiore.

    Persino il Signor Presidente del Tribunale, il dott. Piercamillo Davigo, alla fine ha sottolineato che Abele è sì la vittima, ma che era pure “un po' perfettino, qualche irritazione negli altri la poteva provocare” – un po' scocciante: non se la cercava, ma l'idea la faceva venire. L'imputato è stato condannato a vagabondare 24 anni per il mondo – più o meno come un Erasmus. E c'è da dire che Caino – con forte accento triestino: ignoravo che Caino fosse di Trieste – era molto simpatico, parecchio più di Abele, che convocato (e rianimato) in aula non faceva grossa differenza tra quando se ne parlava quale cadavere e quando lo s'interrogava come testimone.

    L'altra sera, a non voler essere da meno del Cav. – adesso deciso a intrufolarsi in ogni pertugio giudiziario di sua competenza – eravamo in settecento, all'Auditorium della musica, per il processo a Caino: una folla che manco da Ruby. La cosa singolare – a parte Davigo presidente, Tiberio Timperi nella parte di Abele, Franco Maranzana, geologo e autore di Beppe Grillo, in quella di Caino – erano i tre avvocati parlamentari del pidielle che occupavano tutto il resto della scena: il senatore Domenico Benedetti Valentini temerariamente nel ruolo del pm (sia chiaro che queste cose Silvio non le vuole vedere neanche per scherzo), Gaetano Pecorella in quello di Romolo (teste a discarico, in quanto, come Caino, risulta notorio accoppatore di fratelli), e infine Nunzia De Girolamo, difensore del Caino stesso. La faccenda appare comunque curiosa, un filo maliziosa: dal Caino al Cav., possibile che un imputato quasi normale i Perry Mason del centrodestra non lo sappiano trovare? Che poi, l'affascinante avvocatessa on. De Girolamo sembrava averci messo del suo, quando incautamente associava la sorte dell'assistito biblico a quella del leader terreno (biblico anch'io, direbbe lui) quale “imputato più perseguitato nella storia” – e in realtà stava dicendo il contrario, “sono contenta di non dover difendere il più perseguitato della storia” – notificando peraltro che con cuor leggero sarebbe andata a Montecitorio a votare il processo breve.

    A dirla tutta, voleva paragonare nientemeno il suo assistito Caino a Fini (poi dici che uno si butta sulla difesa d'ufficio), “chi è Caino: Berlusconi o chi lo vuole uccidere?” – ma in quel momento esatto è successo di tutto: “ridicola” “vergognati!” “provocatrice!”, e vagonate di buuuuu!, e non s'è capito più niente. Il povero Caino s'è visto perso, un principio di abbacchio sacrificale nello sguardo: la clemenza della Corte, altro non restava. Magari, fosse stato solo per Caino, un po' di clemenza l'avrebbe trovata (oltre alle attenuanti che il dott. Davigo gli ha riconosciuto), ma l'aggravante di sembrare appaiato al Cav. lo ha di sicuro gravemente danneggiato. L'avvocato De Girolamo ha provato a fronteggiare la situazione, “se mi consentono di continuare”, ma inutilmente, “hai cominciato male!”. Che poi qui il processo è breve di suo, brevissimo. Praticamente fulmineo.

     

    Due erano – esclusi babbo e mamma affaccendati a lavorare con sudore e a partorire con dolore: e guarda poi i figli che belle soddisfazioni danno! – e uno è morto ammazzato. E quando da Lassù chiedono: che ne è di tuo fratello?, mica Gli si può rispondere: è un complotto. Del resto, mancando ancora le Tavole della Legge, un po' a naso si deve procedere – ed è risaputo del fiuto del Padreterno. Severo, il pm chiede l'ergastolo per il povero Caino – nessuna compassione per le sue derelitte melanzane. L'on. avv. Pecorella, romanamente addobbato, dottamente argomenta sulla saggezza dell'accoppare un fratello per far trionfare la civiltà. A Caino, che patisce non poco l'infradito, tocca riprendere la parola per rivendicare che, casomai si trattasse di rivendicare delle benemerenze nell'ammazzamento dei congiunti, lui è arrivato prima di quel Romolo che tante arie si dà. “L'intolleranza alberga in quest'aula di tribunale!”, salta su a precisare e a ricominciare l'avvocato De Girolamo – e si riprende: buuuuu! buuuuu!, oltre a qualche stentato applauso. Dibattimento finito, la Corte si ritira, annuncia il presidente Davigo. Le luci si riaccendono.

    Noi della giuria popolare cominciamo a votare. All'ingresso ci hanno fornito due cartoncini: uno verde con scritto “innocente”, uno rosso con scritto “colpevole” – e certe signorine con il canestrino passano per la raccolta. Che il povero Caino sia messo male si capisce a occhio nudo: dovunque ti giri, vedi solo cartellini verdi rimasti nelle mani dei giurati popolari. Io ho votato “innocente”: un po' perché Caino aveva delle buone motivazioni, un po' perché i biglietti per la serata me li aveva procurati l'on. avv. De Girolamo, e considerato il sostanzioso risparmio, nonché il gravoso compito che l'attende (un giorno Caino, il giorno dopo il Cav.), ho deciso di darle una mano: praticamente, giudizio di scambio. Cinquecento e passa voti per la condanna, cento e passa per l'assoluzione. Rientra la Corte. Davigo spedisce così Caino in giro per il mondo, a fondare città (ma Milano 2 l'ha fatta il Cav. o l'ha fatta lui?). Grande soddisfazione finale. Tutto rapido, processo da un'ora e un quarto. Nonostante l'oggettivo, oltre che legittimo, impedimento di Caino e Abele e pure Romolo a essere presenti in aula. Da qualche migliaio di anni.