Io lo conoscevo un po', il piccolo maestro bifronte che ora vuole il golpe
In gioventù fui operaista. Uno di quelli folgorati da Mario Tronti. Che non era un accademico, non stava lì a menarla ma sapeva andare dritto al punto. Uno così, che riusciva a vedere Lenin in Inghilterra e Marx a Detroit senza muoversi da Ferentillo, montarozzo fra Terni e Spoleto, cuore di Umbria, aveva il fascino di chi fa sogni terribili anche da sveglio. “Operai e capitale” fu il libro di formazione, letto, riletto, indecentemente sottolineato, di una generazione di militanti politici e sindacali.
In gioventù fui operaista. Uno di quelli folgorati da Mario Tronti. Che non era un accademico, non stava lì a menarla ma sapeva andare dritto al punto. Uno così, che riusciva a vedere Lenin in Inghilterra e Marx a Detroit senza muoversi da Ferentillo, montarozzo fra Terni e Spoleto, cuore di Umbria, aveva il fascino di chi fa sogni terribili anche da sveglio. “Operai e capitale” fu il libro di formazione, letto, riletto, indecentemente sottolineato, di una generazione di militanti politici e sindacali. Piacquero il suo stile apodittico, l'idea del partito che avrebbe dovuto trovarsi nelle mani giuste al momento giusto perché “il 6 novembre è presto, l'8 novembre è tardi”.
Piacquero le scorciatoie della teoria, gli echi spengleriani, le formule brillanti e spesso bolse di retorica, la “rude razza pagana”. E le tre emme, Mann, Musil e Mahler, come grandi firme della crisi ultima della borghesia. A diciannove anni, dopo cinque passati nel partito a discutere di cose di stringente attualità come il XX congresso del Pcus e il X del Pci, come non restare folgorati da quel non mettere “la fanfara davanti al corteo”, non cedere alla viltà di credere che “di là c'è il mondo dei giusti”, perché “nessun operaio che lotta contro il padrone si chiederà mai: e dopo?”.
Tronti teorico della crisi e della rottura del capitalismo si portò appresso Alberto Asor Rosa, noto critico della cultura nazionale e popolare. Che però era come defilato, sullo sfondo. Qualche anno prima aveva fatto scalpore “Scrittori e popolo”, suo ponderoso saggio contro Gramsci e la vena populistica che, arrivando su fino al Pasolini di “Ragazzi di vita”, a suo dire aveva impedito la nascita in Italia di una cultura autenticamente rivoluzionaria. Tesi ardita per l'epoca, argomentazione dotta ma come dire a latere: per definizione i compagni di strada sono coloro che non esistono se non c'è una strada e qualcuno che la cerchi e la trovi. Per me che non bazzicavo l'istituto di Letteratura italiana della Sapienza fu dunque “piccolo” maestro.
Un giorno capitammo vicini di banco a un'affollatissima assemblea alla facoltà di Lettere sulla teoria leninista dell'insurrezione, eh sì ci fu un tempo in cui all'università si facevano anche cose di questo genere. Ogni tanto scuoteva la grossa testa e diceva “ma è follia”. Lo diceva però con un filo di voce, un sussurro. Rimasi sconcertato. Come se avvertissi in lui un inizio di doppiezza, l'improntitudine di chi può dire una cosa e il suo contrario secondo il contesto. Di profilo aveva un che di studiato e di sfuggente. Se era un seduttore era come il marinaio che ne ha una in ogni porto. Riaffiorò nel 1977 con “Le due società”. Nel saggio che ebbe fortuna lesse i conflitti violenti dell'epoca come scontro irriducibile tra i garantiti perché dentro il sistema dei partiti e dei sindacati e quelli che non avevano garanzie di sorta perché da quel sistema erano fuori. Capì una cosa importante e per farlo sapere gli indiani metropolitani scrissero sui muri dell'università “Asor Rosa palindromo”.
Da allora è andato di porto in porto. Il difensore del Koestler di “Buio a mezzogiorno” incensa Calvino, il seguace di Tronti si butta verso Norberto Bobbio, l'eretico torna nella sinistra quella di prima del Muro, il critico del nazional-popolare riscopre il valore del libro Cuore e di Pinocchio, il battitore di nuove piste torna a vecchie riviste e a cenacoli incartapecoriti dove ci si conosce perché ci si riconosce. E' oggi un vecchio signore che è oltre le colonne d'Ercole. Che ha paura del mare aperto, delle immagini, della tecnologia che pone fine ai privilegi della classe dei dotti. Contro la civiltà montante della ben nota cricca affaristico-criminale che sta distruggendo la democrazia in Artena & Cetona chiede che scenda dall'alto un bel golpettino. Ma non c'è da preoccuparsi. Come dice lui stesso, “memory is inexplicable”.
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