Bivacco dei manipoli a Montecitorio
La piazza grida “bisogna eliminarli fisicamente”
Il Palazzo d'Inverno, nel '17, lo presero in migliaia. Per l'assalto a Montecitorio, ieri, si sono presentati in un centinaio, ma non meno violentemente motivati. Vogliono restare fino a notte inoltrata, minacciano “lotta dura senza paura”, e chiedono che anche l'opposizione faccia lo stesso, ché il momento critico richiede misure estreme. Ogni osservazione, per loro, sa di diserzione. All'urlo “rivoluzione” un ragazzo ha l'imprudenza di aggiungere “sì, ma con mezzi pacifici” e subito una signora sulla cinquantina lo sbrana.
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Il Palazzo d'Inverno, nel '17, lo presero in migliaia. Per l'assalto a Montecitorio, ieri, si sono presentati in un centinaio, ma non meno violentemente motivati. Vogliono restare fino a notte inoltrata, minacciano “lotta dura senza paura”, e chiedono che anche l'opposizione faccia lo stesso, ché il momento critico richiede misure estreme. Ogni osservazione, per loro, sa di diserzione. All'urlo “rivoluzione” un ragazzo ha l'imprudenza di aggiungere “sì, ma con mezzi pacifici” e subito una signora sulla cinquantina lo sbrana: “Ma tu pensi davvero che quelli del Pdl siano recuperabili? Non li cambi, sono assassini, bisogna eliminarli fisicamente, fossero morti avremmo un problema di meno”. Nel frattempo, altri militanti concionano: “Ci vorrebbe l'esercito, ma sai, ora è diverso, sono tutti volontari, non è come una volta”.
La missione è chiara, ma viene ripetuta spesso, a scanso di equivoci, in coro: “E noi che siamo italiani, abbiamo un sogno nel cuore: Berlusca a San Vittore”. Solo un altro slogan è più fortunato, ed è il terzinato “vergogna vergogna vergogna”, da sillabare con precisione, vero collante della piazza.
I politici d'opposizione, che visitano il bivacco alla spicciolata, lo sanno, e non dimenticano di toccare il tasto – e tutti scattano, ritmicamente, “vergogna vergogna”. In demagogia Antonio Di Pietro, che passa un paio di volte, è il più generoso: “Il governo impoverisce i poveri cristi e arricchisce la casta e la cricca”, dice ai valorosi, prima di annunciare un referendum in cui chiedere ai cittadini: “Volete che il Parlamento venga occupato per le leggi del premier o per leggi sulla giustizia giusta, cioè che dà ragione a chi ha ragione e torto a chi ha torto?”. Alcuni coristi, accompagnati da trombe e violino, cantano il “Dies irae” e il “Va' pensiero” (ribattezzato, in capo allo spartito, “Coro del Nabucco a difesa della Costituzione e per le dimissioni di Silvio Berlusconi”). Contro Daniela Santanchè l'ardore della lotta inciampa nella comicità involontaria: mentre si sventolano banconote, le si canta “il bunga bunga fallo con La Russa” – un coro che, se non fosse per due maiuscole, troverebbe di certo un sostegno più appassionato.
L'appuntamento era per le tre, ma l'episodio che spiega tutta la giornata accade alle due, quando Maurizio Paniz (Pdl), va incontro ai manifestanti per spiegare che il ritocco alla prescrizione non è sinonimo di impunità: “Nel caso dell'Aquila – dice – il termine sarà tra trent'anni”. “Già l'ha detto Alfano – gli viene risposto – allora perché questa fretta?”. “La proposta è stata valutata in un anno e due mesi, non vedo dove sia la fretta”, dice Paniz. Un terzo, allora, ripara su un “come possiamo fidarci di uno che non ha ancora abbassato le tasse, come promesso?”. E Paniz, a cui uno grida “fascista”, si concede un “vi capisco” verso i parenti delle vittime dell'incidente ferroviario di Viareggio. Errore: scatta il “vergogna vergogna”, e Paniz deve lasciare.
Se l'indignazione monta, i numeri della manifestazione, però, non decollano. Lo si era capito già dal mattino, quando le vittime di Viareggio si erano ritrovate, un po' perplesse, di fronte a Montecitorio: c'erano già dei manifestanti, ma contro gli abbattimenti delle case abusive nel napoletano – i più organizzati, con gazebo e pettorine stampate – e contro la gestione della Sanità in Lazio, al coro di “siamo tutti cittadini vaffanculo Polverini”.
C'è anche un gazebo della Giornata della prevenzione dell'epatite B e C. Gli anti Cav. rimuginano (“Li avranno messi apposta?”), ma poi gli altri se ne vanno tutti, a parte gli sfrattati campani, al ventiduesimo giorno di presidio. Belisario (Idv), esce e giustifica: “A quest'ora la gente lavora, ma vedrete al momento opportuno”. Quel momento non arriva, e persino i leader del popolo viola sono costretti a rinunciare al comizio al Pantheon, per non sfilacciare ulteriormente il seguito: “Restiamo qui, per non mollare”. Le bandiere sono quasi solo dell'Idv e di Fli. I ragazzi di Fini, gli unici giovani in piazza, firmatissimi, glissano sul fatto che il loro leader stia dirigendo i lavori alla Camera, ma dicono a mezza bocca che “a star qui con l'Idv ho un fastidio fisico, anche se non politico, eh”. Un manifestante viareggino, che non è un familiare delle vittime ma un sindacalista Cgil, mi dà per la quinta volta lo stesso volantino. Un signore che porta al collo un manifesto sugli studenti morti all'Aquila dice di non essere parente di nessuna vittima. A una bambina che chiede soldi per il gelato il padre risponde: “Soldi? Non è che stai con Berlusconi?”. Un suo amico guarda una scolaresca in gita e dice: “Il cervello di quelli è senza recupero, è formattato dal premier”.
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