Urge una moratoria sull'espressione “macchina del fango”

Annalena Benini

Edmondo Berselli raccontò, in “Venerati maestri”, il regime ferreo degli infallibili, che inibisce qualsiasi critica. Dopo poco anche le critiche scomparvero, sostituite dalla “macchina del fango”. Nessun buffetto, sberleffo, facile ironia, o peggio seria critica in buona fede, è concessa nei confronti degli infallibili: degli infallibili si può essere soltanto seguaci, almeno in pubblico; scriveva Berselli, di cui è stata appena ripubblicata da Mondadori l'intera opera, che poi in privato si fanno grandi e voluttuose sghignazzate.

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    Edmondo Berselli raccontò, in “Venerati maestri”, il regime ferreo degli infallibili, che inibisce qualsiasi critica. Dopo poco anche le critiche scomparvero, sostituite dalla “macchina del fango”. Nessun buffetto, sberleffo, facile ironia, o peggio seria critica in buona fede, è concessa nei confronti degli infallibili: degli infallibili si può essere soltanto seguaci, almeno in pubblico; scriveva Berselli, di cui è stata appena ripubblicata da Mondadori l'intera opera, che poi in privato si fanno grandi e voluttuose sghignazzate. Roberto Saviano appartiene, per il grande merito di “Gomorra”, per vita infernale e per monumentalizzazione, alla cerchia degli infallibili, ed è diventato il massimo esegeta della macchina del fango (una frase così, ad esempio, è già indice di appartenenza ai fiancheggiatori della camorra, dei servi del berlusconismo, dei diffamatori e degli infangatori di professione).

    Al Festival internazionale del giornalismo, Saviano ha concluso l'orazione paragonando se stesso e i buoni a Giacomo Matteotti, che nel 1924 denunciò i fascisti per i brogli elettorali e venne assassinato: il delitto esemplare del secolo, la vittima assoluta, il male contro il bene. La cosa pericolosa non è solo l'enormità del paragone, oltre il quale è impossibile andare, ma anche la negazione della possibilità di non essere d'accordo. Non è una polemica, è la distinzione definitiva fra bene e male, e chi non aderisce a questa drammatizzazione è un potenziale verme della delegittimazione.

    Roberto Saviano trascorre da anni giornate terribili, in fuga continua, i suoi familiari hanno avuto la vita stravolta, non può andare al mare senza scorta, abbracciare sua madre in una piazza, ma più di tutto teme la delegittimazione, lo ripete spesso: “A un certo punto ti chiedono: come sei arrivato a tante persone? Dove hai tradito? Dove ti sei venduto? Quali compromessi hai fatto?”. Ha detto in molte interviste di non aver dormito la notte per certe critiche, ed è un dettaglio che conferma la sua buona fede, il senso epico che ha dato al suo mestiere. Ma lui è un mito contemporaneo, un profeta (come scrisse il critico del manifesto Alessandro Dal Lago in un pamphlet molto duro), non certo un infangato. Il giornalista del Corriere della Sera Alessandro Trocino ha scritto in “Popstar della cultura” (Fazi, prefazione di Antonio Pascale), dopo un'analisi molto accurata del fenomeno (termine da abolire) Roberto Saviano: “Bisognerebbe, forse, leggere di più ‘Gomorra' e ascoltare di meno Saviano. Che sembra aver imboccato un vicolo cieco.

    Sovrastato da un compito forse più grande di lui, ovvero quello di rappresentare il nuovo Pasolini per un'Italia confusa e devastata da vent'anni di berlusconismo e di liquefazione della sinistra, ha scelto di diventare, oltre che un eroe anticamorra, un santino dell'antiberlusconismo e un testimone dell'indignazione permanente”. Nella rielaborazione televisiva (a “Vieni via con me”) della macchina del fango, Saviano rievocando Giovanni Falcone definì fango, sbagliando, le legittime critiche rivolte al giudice da Leonardo Sciascia (secondo questo ipercitato e compulsivo meccanismo, Saviano avrebbe infangato la memoria di Sciascia: si rischia di impazzire, bisogna chiedere almeno la moratoria sull'utilizzo dell'espressione “macchina del fango”, insieme a “fenomeno”).

    Il risultato non è allegro. Scrive Trocino: “Significa essersi arruolato in una guerra che non ammette distinzioni, sfumature, ragionamenti. Una drôle de guerre che non tollera onestà e indipendenza intellettuale ma solo militanza in trincea e adesione incondizionata alla causa”. O si sta (ma completamente) con Saviano, la sua moralità, il suo utilizzo del passato, o si è contro di lui: cattivi, nemici, fangosi.

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    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.