Annuntio vobis gaudium magnum, è tornato un grande Moretti

Mariarosa Mancuso

"Non so proprio cosa scriverò, è gradevole ma non capisco proprio il messaggio”, sussurra lo spettatore a fianco durante l'anteprima, portavoce del Giornalista Collettivo che una volta l'anno viene sguinzagliato a seguire il cinema e in mancanza di precise imbeccate ha un mancamento. Gradevole un accidenti. “Habemus Papam” riporta Nanni Moretti ai tempi fantastici di “Bianca” e “La messa è finita”: un film morettiano fino al midollo ma non manierista, spassoso e amarognolo, con facce di cardinali così ben scelte che rubano la scena all'attore-regista.

    "Non so proprio cosa scriverò, è gradevole ma non capisco proprio il messaggio”, sussurra lo spettatore a fianco durante l'anteprima, portavoce del Giornalista Collettivo che una volta l'anno viene sguinzagliato a seguire il cinema e in mancanza di precise imbeccate ha un mancamento. Gradevole un accidenti. “Habemus Papam” riporta Nanni Moretti ai tempi fantastici di “Bianca” e “La messa è finita”: un film morettiano fino al midollo ma non manierista, spassoso e amarognolo, con facce di cardinali così ben scelte che rubano la scena all'attore-regista. In conclave, si comportano come ragazzini durante il compito in classe. Scrivono e cancellano, sbirciano la scheda del vicino, pregano “fa che non sia io, fa che non sia io”, come durante le interrogazioni.

    Molte fumate nere dopo, viene proclamato Papa lo sconosciuto cardinal Melville, dato novanta a uno dai bookmaker. L'interessato – Michel Piccoli, mai così spaurito – accoglie la notizia con un ululato morettiano: non riesce neanche ad affacciarsi per salutare la folla. Viene chiamato in soccorso lo psicoanalista più bravo sulla piazza – Nanni in persona, chi altri?, che con la psicoanalisi e i preti ha da tempo affettuosi conti aperti, basta riguardare i suoi primi film – con regole d'ingaggio strettissime: infanzia con misura, sesso niente, mamma forse, sogni neanche per sogno. Neppure il mafioso Robert De Niro che arruolava Billy Crystal in “Terapia e pallottole” poneva tanti vincoli, temendo soltanto la diagnosi di froceria.

    Finirà con i cardinali che giocano a pallavolo, in una serie di palleggi con le sottane al vento che ricordano i pretini nei quadri di Nino Caffè. E con una guardia svizzera che nell'appartamento papale si ingozza di mini-Sacher e altri pasticcini guardando la tv.
    Il perfetto casting assegna le braghe multicolori a Gianluca Gobbi, e il perfetto reparto trucco gli aggiusta un pizzetto da quadro di Rembrandt. Margherita Buy, moglie separata dello psicoanalista – “mi ha lasciato perché ero più bravo di lei, non ha retto”, ed è la seconda volta che nel film Moretti se lo ripete da solo – ha una sola diagnosi: “Deficit di accudimento”. Poi si porta il Papa in macchina, i due bambini nel sedile dietro, e da un momento all'altro ci aspettiamo che cantino un po' stonati “Insieme a te non ci sto più”.

    Viene il sospetto – solo il sospetto, subito scacciato per lesa nannimorettità – che il regista consideri la chiesa come l'unica istituzione seria rimasta in Italia (gli amici che divorziano li aveva già ammazzati in “Bianca”). Un bel modo di diventare pompiere, dopo essere stato rivoluzionario. Mille volte meglio dei registi suoi colleghi diventati notai.