La tragedia di un volontario
Vittorio Arrigoni non faceva mistero di disprezzare gli israeliani. In un recente post su Facebook, dove scriveva molto prima di essere ucciso a Gaza da fondamentalisti islamici, l'attivista italiano aveva appena definito i sionisti “ratti”. Una fotografia, diffusa dai siti israeliani, lo mostra abbracciato al premier di Hamas, Ismail Haniyeh. Arrigoni era un duro della militanza pro Hamas, certo. Ma era anche un ragazzo ardente che ha militato per un'idea (sbagliata) e lo ha fatto senza infingimenti, pronto perfino ad accettare una bella morte.
Vittorio Arrigoni non faceva mistero di disprezzare gli israeliani. In un recente post su Facebook, dove scriveva molto prima di essere ucciso a Gaza da fondamentalisti islamici, l'attivista italiano aveva appena definito i sionisti “ratti”. Una fotografia, diffusa dai siti israeliani, lo mostra abbracciato al premier di Hamas, Ismail Haniyeh. Arrigoni era un duro della militanza pro Hamas, certo. Ma era anche un ragazzo ardente che ha militato per un'idea (sbagliata) e lo ha fatto senza infingimenti, pronto perfino ad accettare una bella morte. La morte invece è stata orrenda e lo ha colto alle spalle, ma se possibile questo accresce la pietà verso un altro “nostro” morto ammazzato. Nostro, proprio in quanto veicolo di “vizio occidentale” – questa l'accusa della mano assassina – in quella fortezza della sharia che è Gaza.
Quando in Iraq fu macellato Enzo Baldoni, l'italiano “panza e istinto” ammiratore del subcomandante Marcos e primo di una filiera di pacifisti italiani uccisi per mano del terrorismo, il moralismo arcobaleno provò a distinguere tra il cattivo bodyguard dagli occhi di brace che doveva portare la mesata a casa, il “mercenario” Fabrizio Quattrocchi, e l'“uomo di pace” Baldoni. L'uccisione di Arrigoni, impiccato da uno squadrone della morte, ci ricorda che questa distinzione non esiste agli occhi dei predoni islamisti.
Non è bastato santificare l'altruismo perché il giovane romano Angelo Frammartino fosse risparmiato a Gerusalemme. Militava per Rifondazione comunista e l'Arci, cantava “le fionde dei ragazzi palestinesi”, è finito accoltellato. Il suo carnefice riteneva che Angelo fosse “ebreo”. In Iraq è morto Salvatore Santoro di Pomigliano. E' stato ucciso dai terroristi a Ramadi, “la tomba degli americani”, dove Salvatore voleva collaborare alla ong pacifista Charity for England and Wales.
“Cresciuto a pane e politica”, Arrigoni era stato cooperante in Bosnia e osservatore durante le elezioni in Congo. La sua fama crebbe quando da Gaza cominciò a scrivere per il Manifesto. Arrigoni dragava, il volto squadrato e convinto, con i pescatori palestinesi. Eppure questo non gli ha risparmiato l'esposizione piangente e disperata di fronte alle telecamere, che in Iraq prima di lui ha sigillato la morte di Nick Berg, l'ebreo esperto di radioline a cui hanno segato la testa. Arrigoni diceva che “apparteniamo tutti, indipendentemente dalle latitudini, alla stessa famiglia umana”. Non la pensano così i fanatici genocidi che tengono in scacco Israele da oltre sessant'anni.
Il suo ultimo video, la testa strattonata per i capelli e gli occhi bendati, ricorda quelli della giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena, generosa pacifista dal volto sciupato e dolente e dal sorriso spento nel pianto. Anche la “resistenza irachena”, per cui Sgrena aveva patteggiato, la costrinse a farsi megafono del banditismo omicida che ha infestato l'Iraq, facendo esplodere i seggi elettorali. Baldoni, Santoro, Sgrena, le due Simone, Frammartino, Arrigoni, sono tutti pacifisti finiti, letteralmente, nelle mani del nemico. Ma il nemico non era quello che immaginavano loro, i marines, le truppe italiane di Nassiriyah, i cingolati israeliani. E' un odio puro, feroce, che non discrimina fra ebrei, crociati o apostati del vizio occidentale. Eccola la tragedia dei nostri pacifisti.
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