Così Merkel usa la crisi del nucleare per trasformare la Germania nel centro dell'energia rinnovabile

Andrea Affaticati

Da quando, quarantotto ore dopo l'incidente alla centrale atomica di Fukushima, Angela Merkel ha imposto una moratoria di tre mesi sugli impianti tedeschi  e lo spegnimento dei sette reattori più vecchi – non passa giorno senza che i giornali tedeschi non si occupino della vicenda. C'è chi spiega quanto ci vorrà prima di potersi liberare completamente dal nucleare e chi prova a calcolare quanto costerà la rinuncia. Chi propone di boicottare il settore, chi si appella alla giustizia per abuso di potere da parte del cancelliere.

    Da quando, quarantotto ore dopo l'incidente alla centrale atomica di Fukushima, Angela Merkel ha imposto una moratoria di tre mesi sugli impianti tedeschi  e lo spegnimento dei sette reattori più vecchi – non passa giorno senza che i giornali tedeschi non si occupino della vicenda. C'è chi spiega quanto ci vorrà prima di potersi liberare completamente dal nucleare e chi prova a calcolare quanto costerà la rinuncia. Chi propone di boicottare il settore, chi si appella alla giustizia per abuso di potere da parte del cancelliere. In mezzo a tutto questo grande dibattere, il governo ha nominato una Ethikkommission e ha stilato una tabella di marcia per giungere presto a decisioni concrete.

    La commissione etica (che è composta da quattordici uomini e tre donne, quasi tutti contrari al nucleare) deve tracciare le linee guida sul passaggio dal nucleare alle fonti alternative, ma deve anche rispondere alla domanda assai spinosa sul livello di “restsiko”, il rischio ultimo e imponderabile rappresentato dal nucleare che uno stato può accollarsi e accollare ai propri cittadini. Merkel si è incontrata già venerdì con i governatori dei Länder per avere un primo scambio di idee sulla svolta energetica: gli argomenti chiave sono stati l'implementazione delle reti, le energie rinnovabili e l'efficienza energetica.

    Nella prima metà di maggio, Merkel incontrerà al Bundeskanzleramt la società civile, il 16 la commissione per la sicurezza dei reattori, e il 27 la commissione etica. La Kanzlerin vuole avere in mano già ai primi di giugno un documento definitivo, come chiedono anche i governatori dei Länder. Il Parlamento dovrebbe approvare il testo a metà giugno. Sulla base delle relazioni, si capirà anche quale sorte toccherà ai sette reattori momentaneamente spenti. Insomma, indietro non si torna, questo è il messaggio della coalizione di centrodestra – la stessa che, all'inizio di dicembre celebrava la legge che ha temporaneamente allungato l'attività delle diciassette centrali nucleari tedesche. Il governo Merkel rischia di entrare nella storia per aver avviato una delle più grandi rivoluzioni di questo decennio.

    In Germania nessuno vuole più sentir parlare di ciò che, sino all'11 marzo, i sostenitori del nucleare affermavano: e cioè che si tratta di un'energia perfetta, poco inquinante e poco costosa, ideale per raggiungere in tempi ragionevoli un mix energetico composto sempre più da fonti rinnovabili. Oggi il paese intero pare ipnotizzato da un'unica domanda: quanto velocemente ci si può sbarazzare del nucleare? Secondo Greenpeace e il Consiglio di saggi per l'ambiente, già nel 2015 potrebbero essere spenti tutti i diciassette reattori tedeschi che attualmente coprono un quarto del fabbisogno energetico nazionale. Il 2017 è invece l'anno indicato dal ministero per l'Ambiente e dai Verdi (cioè cinque anni prima della data fissata dalla legge del 2002, quella varata dalla coalizione rosso-verde dell'ex cancelliere Schröder). Il 2020 è, invece, l'anno indicato dall'Associazione energetica e dell'acqua.

    Soltanto i pronucleare indicano il lontano 2050 – ma loro sono sempre meno. L'effetto più tangibile delle avarie nei reattori giapponesi è che hanno praticamente azzerato le opposte fazioni. Raramente si è assistito a una tale concordanza di posizione fra i partiti, così come fra opinione pubblica e classe politica, scrive Harald Martenstein, uno degli editorialisti di punta del giornale progressista Tagesspiegel, che ha lanciato un appello tra l'ironico e l'angosciato. “In Germania abbiamo realizzato il miracolo di una totale omologazione d'intenti – ha detto Martenstein – Ora, anch'io sono contro il nucleare, ma ciò nonostante vorrei sentire una voce fuori dal coro. Mi piacerebbe per esempio sentir dire a qualcuno ‘sono sempre stato a favore del nucleare e lo sono ancora'”. Anche Günter Grass ha sottolineato il pericolo di una “dittatura ecologica”.

    Uno dei pochi che ha il coraggio di andare controcorrente è il direttore dell'Istituto di studi economici (Ifo) di Monaco, Hans-Werner Sinn, che già nel 2008 si era accollato il ruolo di bastian contrario. Nel suo libro “Il paradosso verde”, spiegava i rischi dei parchi eolici, avvertiva del pericolo di carestie per i paesi poveri causate dalle biomasse, e sottolineava l'alto costo delle fonti alternative pagato dal contribuente. Sinn si è fatto vivo anche dopo Fukushima, continuando a difendere la sua posizione. Sul quotidiano economico Handelsblatt ha scritto: “Siamo già campioni mondiali nel fotovoltaico e secondi nell'eolico. Ovunque ci si trovi, si vedono luccicare pannelli solari e in lontananza si ode il rumore sordo delle pale eoliche. Nonostante questa colonizzazione del paesaggio, l'energia così ricavata non copre più dell'8 per cento del nostro consumo. E' vero, anche l'energia prodotta dalle centrali nucleari arriva giusto al 23 per cento. Solo che, diversamente da sole e vento, garantisce una produzione stabile”. Sinn ricorda poi che la Germania si accinge ad abbandonare completamente il nucleare, ma i francesi pensano di usarlo anche per le automobili. Sbagliata dunque la soluzione di Merkel, perché per una società altamente industrializzata, la cui crescita economica dipende in massima parte dall'energia, non può rinunciare a una fonte decisiva come l'atomo. “La Germania dovrebbe buttarsi a capofitto nella ricerca termonucleare – ha detto – Con il suo generatore Stellarator a Greiefswald è già un passo avanti agli altri, peccato soltanto che vi investa giusto un sessantesimo dei fondi in rapporto a quelli destinati alle fonti alternative. Ed è sbagliato perché la fusione termonucleare non emette radiazioni e non è gravata dal pericolo di un incidente nucleare”.

    Sono in molti a lamentare i contributi onerosi allo sviluppo delle energie alternative (soprattutto del fotovoltaico, in un paese non proprio mediterraneo), ma non è vero che il nucleare nell'ambito delle sovvenzioni abbia una parte secondaria. Uno studio realizzato dal Forum per l'ecologia e l'economia di mercato sociale, presentato nel settembre del 2009, spiega che dal 1950 al 2008 lo stato ha sovvenzionato anche il nucleare con una somma pari a 160 milioni di euro. Sinn ha chiuso  il suo articolo ricordando che anche l'ex leader dei Verdi Joschka Fischer oggi pensa che le pretese dei suoi compagni di partito di rinunciare al fossile e al nucleare presentano lacune logiche e pratiche. A proposito di Fischer: è curioso notare che proprio i ministri e gli alti funzionari del governo che nel 2002 varò leggi anti nucleare, sono oggi sul libro paga di compagnie che nel nucleare investono pesantemente. Fischer, così come l'ex ministro per l'Economia Wolfgang Clement (Spd) lavorano per Rwe, mentre l'ex segretario di stato, Margareta Wolf (Verdi) è passata a fare la pr per un'agenzia che lavora per la lobby del nucleare. Era sua la campagna pre elettorale del 2009 che doveva togliere un po' angoscia ai tedeschi riguardo a questa fonte energetica.

    Le compagnie energetiche tedesche non osano fare una difesa come quella di Sinn. Tale è la diffidenza nei loro confronti che Jürgen Grossmann, l'amministratore delegato di Rwe, ha dato libero sfogo alla propria frustrazione in un'intervista: “Non sono mica un criminale solo perché continuo a essere a favore del nucleare”, ha detto, raccogliendo consensi dai boss di E.on, EnBw e della svedese Vattenfall, che controllano il mercato energetico tedesco. Ciò nonostante, non si sono uniti al ricorso presentato da Grossmann al tribunale amministrativo di Kassel.

    L'ad di Rwe contesta alla Kanzlerin di essersi avvalsa dell'articolo 9 della legge sul nucleare, che conferisce al governo il diritto di spegnere una centrale soltanto in caso di grave pericolo per la popolazione (diversamente da molti altri paesi, come la Francia, le centrali tedesche non sono di proprietà dello stato; l'unica eccezione l'EnBw, partecipata per il 45 per cento dal Land Baden-Württemberg, dove si sta per formare il primo governo regionale guidato da un verde). Le avarie nei reattori di Fukushima non mettono in alcun pericolo la popolazione tedesca. La solitudine di Grossmann è stata però puramente tattica. Nessuno dei gestori crede che i reattori saranno riallacciati alla rete dopo i tre mesi di moratoria, e proprio per questo ognuno si riposiziona.

    Rwe fa la voce grossa, perché tra le quattro compagnie è quella che dipende maggiormente dal nucleare e dal gas, mentre E.on ricava già il 13 per cento dell'energia da fonti rinnovabili, in particolare da vento e acqua, e il 17 per cento (tendenza decrescere) dalle centrali. Questa maggior diversificazione ha peraltro fatto perdere al titolo di E.on meno rispetto a quello di Rwe. Ma anche se l'immediato futuro in Germania non si presenta facile, nessuna delle “quattro sorelle” è a rischio di fallimento. Da tempo si sono attrezzate, anche perché la legge del 2002 non stabiliva solo la dismissione degli impianti allo scadere del trentaduesimo anno di attività, ma vietava altresì la costruzione di nuove centrali in Germania. I gestori di impianti e produttori di tecnologia (tra questi Siemens e ThyssenKrupp), così come le grandi banche (prime tra tutte la Deutsche Bank, che tra il 2002 e il 2009 ha investito, scrive lo Spiegel, 7,8 miliardi di euro nel settore nucleare) si sono dati da fare all'estero. Rwe e E.On hanno costituito una joint venture per partecipare in Gran Bretagna alla costruzione di sei centrali; delle 1.600 imprese coinvolte nella costruzione di uno dei più grandi reattori al mondo sulla penisola finlandese Olkiluoto, la metà sono tedesche. Il made in Germany è molto richiesto. E anche l'attuale coalizione non è rimasta a guardare. Nel febbraio 2010, il governo ha concesso una fideiussione pari a 1,3 miliardi di euro al consorzio franco-tedesco ArevaNp-Siemens, impegnato nella costruzione della centrale brasiliana Angra 3. Difficile dire se ora, dopo Fukushima, continuerà a fare da garante, ma per le compagnie tedesche il futuro resta comunque promettente. Ad attenderle, 170 centrali con 560 reattori in costruzione o in fase di progettazione, che corrispondono a commissioni per 628 miliardi di euro.

    Più turbolento sul piano del finanziamento si presenta il futuro per il governo. I quattro boss dell'atomo tedesco hanno comunicato due venerdì fa a Merkel che non verseranno nemmeno un centesimo nel fondo per le energie rinnovabili. Il fondo fa parte della legge varata a dicembre che prevede, in cambio di un'attività più lunga delle centrali, un'imposta sugli elementi di combustione per un totale di 2,3 miliardi di euro all'anno per i prossimi sei anni, ma anche di una quota fissa annuale per ogni impianto, per un totale complessivo di 16,9 miliardi. La tassa sugli elementi combustibili resta, anche seporterà molti meno soldi, ma il fondo rischia di rimanere a secco.

    Quanto costerà veramente l'uscita accelerata dal nucleare? Venerdì, dopo l'incontro fra i governatori e Merkel, sono trapelata le prime stime: attorno ai tre miliardi di euro l'anno. Ma i costi dipenderanno dalla tempistica. Secondo quanto scrive la Süddeutsche Zeitung, citando l'Ente federale per l'ambiente che rifornisce di dati e studi il governo, se si arrivasse nel 2050 a fonti energetiche rinnovabili, non ci sarebbero grossi problemi e la produzione potrebbe costare addirittura meno di quanto non costi oggi. La svolta darebbe i primi frutti già a partire dal 2025. Ma sino ad allora e per almeno un decennio, le bollette energetiche aumenteranno.

    Ci vorranno reti d'alta tensione che collegano per esempio un parco eolico nel mezzo del mare del Nord con la Baviera (il cui costo, secondo le prime stime è di 40 miliardi di euro). In più vanno studiate le fonti migliori a seconda dell'ubicazione geografica, perché sole e vento non sono costanti. Proprio l'inaffidabilità di queste fonti potrebbe favorire il decentramento. Diversamente dalle risorse energetiche in mano a poche grandi compagnie, l'energia prodotta dalle rinnovabili richiederebbe un'amministrazione localizzata, medie imprese, comuni e addirittura quartieri che ne diventano i gestori. Lo stesso discorso si può fare a livello europeo, puntando sulle macroregioni e sulla ripartizione delle risorse: energia eolica nei paesi affacciati sul mare del Nord, idroelettrica spostata su Norvegia e Alpi, fotovoltaico in quelli mediterranei, Africa del nord compresa.

    Merkel ha lanciato la sfida ed è riuscita a elettrizzare la Germania, ora bisogna capire come accelerare il processo di dismissione dal nucleare. Se il paese riuscirà veramente a essere all'altezza di questa sfida, allora chiuderà anche un ciclo storico. Tutto cominciò infatti in Germania nel dicembre del 1938, quando il fisico nucleare Otto Hahn scoprì la fissione nucleare. Anzi, molto prima, nel lontano 1789, quando Martin H. Klaproth, un farmacista di Berlino scoprì l'uranio, come racconta Hubert Mania nel suo libro “Reazione a catena – la storia della bomba atomica”.

    “L'uscita dal nucleare costringe la Germania a mettersi alla testa dei cambiamenti tecnologici in campo energetico”, scrive Marc Brost sulla prima pagina della Zeit. “Certo, rischiamo un pesante contraccolpo se gli altri continueranno a investire testardamente nel nucleare. Ma sinora la maestria ingegneristica tedesca ha sempre trovato degli emuli. Perché non dovrebbe essere così anche stavolta? La Germania deve avere il coraggio di buttarsi nel futuro. Il rischio è grande e le garanzie sono nulle, ma i tedeschi hanno deciso. Angoscia tedesca? Chiamiamola piuttosto intelligenza tedesca”.