Ah Nichi, ma che stai a di'?

Claudio Cerasa

La nostra passionaccia per la “poletica” di Nichi nasce circa sei mesi fa durante una formidabile intervista rilasciata dal governatore della Puglia alle “Invasioni Barbariche”, e in particolare in un momento molto intenso della conversazione, quando il nostro Vendola, e chissà quanti se lo ricorderanno, disse, con sguardo estasiato, che nel suo governo ideale i cinque ministri che sarebbe pronto a nominare dall'oggi al domani sarebbero stati senz'altro Gino Strada, Don Ciotti, Carlin Petrini, Lorella Zanardo.

Nichi ma che stai a di'? / 100 (e ci fermiamo qui)

    La nostra passionaccia per la “poletica” di Nichi – ovvero per quell'irresistibile mix di sofisticato e profondo pensiero politico e inconfondibile e surreale gusto per la poetica – nasce circa sei mesi fa durante una formidabile intervista rilasciata dal governatore della Puglia alle “Invasioni Barbariche”, e in particolare in un momento molto intenso della conversazione, quando il nostro Vendola, e chissà quanti se lo ricorderanno, disse, con sguardo estasiato, che nel suo governo ideale i cinque ministri che sarebbe pronto a nominare dall'oggi al domani sarebbero stati senz'altro Gino Strada, Don Ciotti, Carlin Petrini, Lorella Zanardo (autrice de “Il corpo delle donne”) e una qualsiasi “rappresentante degli studenti”.

    Di fronte a quella emozionata, eccitata e commossa rivelazione – una qualsiasi “rappresentante degli studenti” – ci siamo resi all'improvviso conto di come il linguaggio e più in generale la grammatica di Nichi potessero davvero nascondere, dietro la “poletica” e dietro quel suo formidabile nonsense poetico, qualcosa di misteriosamente rivoluzionario per il mondo della comunicazione politica italiana. Così, forti di questa improvvisa ispirazione, ci siamo messi a poco a poco a seguire, con grande devozione, ogni intervista, ogni dichiarazione, ogni trasmissione, ogni videomessaggio, ogni tweet e ogni post e ogni libro di cui fosse in un qualche modo protagonista il nostro Nichi. E dopo sei mesi trascorsi appassionatamente a sbirciare in mezzo a tutte le più imperdibili testimonianze del pensiero di uno dei personaggi più popolari, più discussi, più ricercati, più interpellati e forse persino più amati del paese, ecco, possiamo davvero dire di aver imparato un mucchio di cose sul nostro mitico Nichi.

    Sappiamo per esempio, dopo lunghi e approfonditi studi, che per Nichi è solo “coniugando virilità e tenerezza” che è possibile “spezzare il rapporto gerarchico tra piazza e potere”. Sappiamo, per dire, che da giovane il nostro Nichi era davvero molto buono, che non “ha mai dato uno schiaffo a nessuno”, che ha persino “rotto molte amicizie con bambini che accendevano le miccette in bocca alle lucertole” e che forse è stato proprio in quei duri momenti che “è diventato comunista: pensando proprio ai diritti degli animali”. E non solo. Sappiamo anche che negli anni ruspanti in cui Nichi andava a rafforzare la sua formazione politica “il passo più coinvolgente durante i suoi comizi” era, non a caso, “il racconto del perché non fumo più”. Sappiamo, e chi non se ne è accorto, che il nostro Nichi ha una spontanea, genuina e intensa venerazione per uno strumento politico nei confronti del quale non riesce quasi mai a trattenere fino in fondo il suo personalissimo entusiasmo (perché le primarie, si sa, “sono come il bambino che si porta all'orecchio la conchiglia per ascoltare il rumore del mare: sono il rumore della vita”).

    Sappiamo infine – e come non dargli ragione – che nel duro, malvagio e spietato mondo della politica oramai un po' per tutti è diventato impossibile formulare delle buone proposte “che prescindano da un discorso sul buio e sulla luce”; che è diventato inevitabile credere di non potere essere più la persona deputata a dare delle risposte ma di poter essere, al massimo, solo quella destinata ad allargare l'ambito delle domande”; e che, infine, è diventato anche piuttosto naturale chiedersi, “in quest'epoca di precisione e nitidezza digitali e di dissolvenza delle condizioni e delle relazioni sociali”, “dove accidenti si è finiti, noi tutti, nella grande vicenda sociale?”.

    Incredibilmente profondi, completamente senza senso.

    E' vero: abbiamo ancora qualche piccolo dubbio sul vero senso di quel piccolo orecchino pieno di brillantini portato con orgoglio sul lobo del suo orecchio sinistro, e qui, come si sarà già dedotto leggendo questa pagina, le verità sono molteplici: forse “per il piacere di firmare il proprio corpo inserendo una micro-mutazione nella sua corporeità”; forse “per la voglia di avere indosso qualcosa di irregolare che vivesse nell'asimmetria della sua solitudine”; o forse, magari, “per la gioia di avere sempre con sé un qualcosa che, oltre a completare il proprio corpo come una firma che ti aiuta a uscire da te stesso, fosse capace di ricordare le storie della sua terra, le storie dei carrettieri” (per qualsiasi tipo di ulteriore chiarimento, vi consigliamo di chiedere lumi alla simpatica Denise Pardo, che giusto sei mesi fa ha scritto sull'Espresso un'intervista di circa tredicimila battute tutta focalizzata sullo scottante tema della “forza di un orecchino”).

    Comunque sia, in questi mesi – a parte un piccolissimo infortunio legato a una biricchina traduzione di una bella paginata dedicata dal Washington Post al governatore pugliese di cui lo staff di Nichi si dimenticò misteriosamente di tradurre il passaggio in cui Jason Horowitz parlava, tra le altre cose, anche della rubrichina del Foglio traducendola con un meraviglioso “Nichi, what the hell are you talking about?”) – bisogna dire che il governatore è stato al gioco, che non ha mai protestato sui nostri minacciosi, e scomodissimi, come direbbe Beppe Severgnini, Nichi-ma-che-stai-a-di'? quotidiani, che ci ha fatto persino sapere di essere diventato un “fan” della nostra collezione e che soprattutto, e di questo lo ringraziamo veramente di cuore, non c'ha mai fatto mancare neppure per un giorno, neppure per un attimo, neppure per un istante, gli elementi utili a riempire il nostro piccolo format.
    Certo, sulla formidabile abilità di Nichi a formulare pensieri capaci di essere allo stesso tempo incredibilmente profondi e completamente senza senso ci si potrebbe dedicare ancora a lungo, e ci sarebbe persino materiale per farci un bel libretto.

    Ma per ora, insomma, dopo sei mesi passati a decifrare interviste e post, prefazioni e tweet, dichiarazioni e videomessaggi vari (le cose più belle va da sé sono la prefazione scritta da Vendola al libro di Pino Pisicchio, il videomessaggio in cui Nichi spiega che cosa è per lui la poesia, i libri intervista con Cosimo Rossi editi da manifestolibri e le chiacchierate da Santoro in cui Vendola, mirabilmente, si sforza in tutti i modi di dimostrare di avere la caratura politica di un grandissimo statista), beh, come dire, siamo certi che, arrivati alla puntata numero cento, alla fine il messaggio dovrebbe essere più o meno chiaro, ormai. E insomma Nichi, diccelo una vorta per tutte, ma che stai a di'?

    Nichi ma che stai a di'? / 100 (e ci fermiamo qui)

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.