D'Avanzo torna sul luogo del delitto Rostagno, e prova a farla franca

Marco Pedersini

“Chicca Roveri, la compagna di Mauro Rostagno, non ha avuto modo di apprezzare il rigore del giornalismo italiano. E' questo il suo esordio: ‘Non riuscirò mai a capire la leggerezza con cui fate il vostro lavoro, non capirò il silenzio che circonda il processo per la morte di Mauro'”. Così ha scritto ieri, su Repubblica, una delle penne più in vista del giornalismo d'inchiesta italiano, Giuseppe D'Avanzo – quello che il presidente del Consiglio, in un impeto di simpatia non ricambiata, ha ribattezzato “signor Stalin” per via dei caratteristici baffoni.

Leggi La polemica di D'Avanzo con Andrea Marcenaro

    Chicca Roveri, la compagna di Mauro Rostagno, non ha avuto modo di apprezzare il rigore del giornalismo italiano. E' questo il suo esordio: ‘Non riuscirò mai a capire la leggerezza con cui fate il vostro lavoro, non capirò il silenzio che circonda il processo per la morte di Mauro'”. Così ha scritto ieri, su Repubblica, una delle penne più in vista del giornalismo d'inchiesta italiano, Giuseppe D'Avanzo – quello che il presidente del Consiglio, in un impeto di simpatia non ricambiata, ha ribattezzato “signor Stalin” per via dei caratteristici baffoni. Il quotidiano del gruppo l'Espresso ha dedicato una pagina intera al caso dell'ex leader di Lotta continua Mauro Rostagno, ucciso nei pressi di Trapani il 26 settembre 1988. La notizia è che due pm palermitani, Paci e Del Bene, hanno trovato una busta con gli appunti di Rostagno. Le note, che si credevano smarrite per sempre tra gli atti del processo, confermano la versione già ampiamente giustificata dalle risultanze delle indagini condotte dallo stesso Paci e dal pm Antonio Ingroia.

    Grazie a un'accurata perizia balistica, i due magistrati avevano già dato un nome all'assassino (Vito Mazzara) e al mandante (il boss Vincenzo Virga). L'arma? La stessa che è stata impiegata prima e dopo quel 26 settembre per altri delitti di mafia, dicono i periti. Il movente? Rostagno, dal pulpito televisivo offerto da una rete locale, dava fastidio. Era venuto a conoscenza di troppe cose, compresi i traffici sospetti della loggia massonica “Scontrino”. “Tutta Trapani pensava che si trattasse di un omicidio di mafia”, ha detto ieri Chicca Roveri a Repubblica. Il procuratore di Trapani, Gianfranco Garofalo, però, la pensava diversamente e, nel 1996, aveva fatto arrestare la Roveri, Francesco Cardella e una decina di ospiti di Saman – una vecchia masseria che Cardella aveva trasformato in una comunità di recupero dei tossicodipendenti. Rostagno, stando ai sospetti di Garofalo, era stato ucciso dagli ex di Lotta continua, con la complicità di Chicca Roveri, per impedire che rivelasse segreti scomodi al processo contro Adriano Sofri e i presunti assassini del commissario Calabresi.

    Ma Chicca Roveri, la compagna di Mauro Rostagno, “non ha avuto modo di apprezzare il rigore del giornalismo italiano”. Nel mese abbondante che ha trascorso in carcere, ha potuto però apprezzarne l'inventiva. D'Avanzo, che ora la intervista, lo sa bene, visto che in quei giorni, con il collega Attilio Bolzoni, aveva dato alle stampe un libro di tempestiva character assassination: “Rostagno: un delitto tra amici”. Quarta di copertina: “Diranno che l'ha ucciso la mafia, o qualche spacciatore, oppure un amante deluso, ma niente di tutto ciò racconterà la vera storia di Mauro Rostagno”.

    Il fuoriclasse dei cronisti di giudiziaria non poteva certo esimersi dal fascino dello scoop: “Partii con la convinzione che dovevamo occuparcene – scriveva D'Avanzo nell'introduzione – e Attilio fu d'accordo. Ci incuriosiva soprattutto Cardella, la sua fortuna accumulata senza fatica tutta in una volta, i suoi oscuri traffici e le discusse amicizie, il narcisismo arrogante. Cominciammo così dai suoi amici, da chi lo aveva visto crescere, diventare ricco e spregiudicato”. Il “narcisismo arrogante” non sarà una prova schiacciante, ma funziona e per i due segugi valeva bene una gogna preventiva a mezzo stampa. Decenza avrebbe voluto che D'Avanzo, dopo poco più di dieci anni, non si riciclasse intervistatore di Chicca Roveri, tornando sul luogo del delitto (giornalistico) come se niente fosse. E invece no. Non sente niente. Nessun rossore.

    Leggi La polemica di D'Avanzo con Andrea Marcenaro