Il bluff del grande ventriloquo
Da ieri, invece, il figlio di don Vito Ciancimino, ha perso, almeno per un po', la libertà di esprimersi in interviste, salotti televisivi, conferenze stampa e interrogatori davanti ai magistrati. Forse, col fermo disposto ieri dalla procura di Palermo è finita la carriera di superteste del figlio dell'ex sindaco mafioso del capoluogo siciliano.
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“Io ormai sono come Mastrota, fra un po' vado in tv a vendere le pentole… Faccio tutto! Le cose vanno stra-bene, comunque va bene… quando tu senti cose mie in televisione, tu fottitene!”. Tanto se n'è fregato, Massimo Ciancimino, che alla fine è rimasto fregato proprio lui: il 16 novembre si esprimeva liberamente, credendo che le cose gli andassero non bene ma stra-bene, perché non sapeva di essere ascoltato dalle microspie; e liberamente parlava con un commercialista, che era indagato perché ritenuto vicino alla 'ndrangheta.
Da ieri, invece, il figlio di don Vito Ciancimino, ha perso, almeno per un po', la libertà di esprimersi in interviste, salotti televisivi, conferenze stampa e interrogatori davanti ai magistrati. Forse, col fermo disposto ieri dalla procura di Palermo – per la serie la rivoluzione mangia i propri figli – è finita la carriera di superteste del figlio dell'ex sindaco mafioso del capoluogo siciliano. Forse è stato dato un colpo decisivo alla sua “attendibilità intrinseca”, cioè alla sua credibilità generale. Forse è stato dato un colpo pesantissimo anche a indagini che dovevano scrivere, o riscrivere, la vera storia d'Italia. E che, in attesa di questi risultati clamorosi, si limitavano a riscrivere libri. Come il volume di Maurizio Torrealta, uscito giusto mercoledì, sul “Quarto livello”: un titolo ispirato dall'interrogatorio e dal falso clamoroso contro il prefetto Gianni De Gennaro, proprio il documento che ieri ha fatto finire in carcere Massimo Ciancimino, con l'accusa di calunnia nei confronti dell'ex capo della polizia. Particolare che ha dell'incredibile: la prefazione al libro l'ha scritta proprio Antonio Ingroia.
Dal carcere il figlio dell'ex sindaco di Palermo non lesina spiritosaggini e anche dichiarazioni accorate. Dice ad esempio che qualcuno lo vuole fermare, perché lui avrebbe toccato livelli troppo alti. Non dice chi avrebbe voluto fermarlo e perché. Ma lo dirà. In questo momento potrebbe fare riferimento a chiunque: a pezzi dei servizi e delle istituzioni, al mai individuato “signor Franco”, il misterioso personaggio dei servizi che lui, in maniera ostinata, ha cercato di far credere fosse proprio l'ex braccio destro di Falcone, e cioè il superpoliziotto De Gennaro. Ma sa bene che sarebbe una balla, una delle tante, perché a fermarlo in realtà sono stati gli stessi pm che per oltre tre anni l'hanno ritenuto attendibile: Antonio Ingroia, Nino Di Matteo e Paolo Guido. Ingroia, addirittura, aveva scritto in un suo libro: “Dal primo incontro ho capito subito che era di tutt'altra pasta… oggi è arrivato a diventare quasi un'icona dell'antimafia”.
Domani Ciancimino potrebbe averne pure per loro. Potrebbe cioè imitare Balduccio Di Maggio, il pentito del bacio tra Andreotti e Riina, e alludere, calunniare, mascariare anche i magistrati che, con una pazienza decisamente esagerata, gli hanno dato spago su spago. Facendo di lui, anche non volendolo, una star del grande circo mediatico-giudiziario, a cominciare da "Annozero" di Michele Santoro e Marco Travaglio, che ruota attorno alla presunta trattativa fra stato e mafia, al “signor Franco” e ai misteri di cui Ciancimino jr dice di sapere tutto. Assieme a dettagli, particolari, storie che riguardano ex ministri come Nicola Mancino, neoministri come Saverio Romano, senatori come Marcello Dell'Utri, e ovviamente quel grande reprobo di Silvio Berlusconi.
In questi ultimi tre anni ha parlato e sparlato, Ciancimino, e nessuno si poneva problemi. Torme di giornalisti osannanti e personaggi dell'antimafia dura e pura come Salvatore Borsellino, fratello del giudice ucciso in via D'Amelio, lo hanno accompagnato nella sua resistibilissima ascesa verso il suo vero obiettivo: l'intoccabilità e la possibile restituzione del tesoro del padre, boss dei corleonesi, confiscato grazie ai pm di Palermo del pool coordinato da Giuseppe Pignatone.
Specializzato nelle consegne a rate, Ciancimino ha fatto perdere la pazienza alla Procura di Caltanissetta, che ben presto ha litigato (e continua a farlo) con quella di Palermo, per via di divergenze sulla gestione del presunto superteste: poco o per niente credibile per i magistrati nisseni, che lo avevano indagato per calunnia contro De Gennaro prima dei palermitani e che si sono visti sostanzialmente scippare l'inchiesta dai colleghi palermitani, ostinati nel tenersi stretto questo singolarissimo eroe antimafia.
Ciancimino si era fatto beffe, nei giorni scorsi, anche del prefetto di Palermo, Giuseppe Caruso, che dopo l'intercettazione ambientale con il commercialista sospettato di vicinanza alla 'ndrangheta aveva chiesto per lui la revoca della scorta. La stessa scorta con cui ieri il figlio dell'ex sindaco stava andando a Saint Tropez, in Francia, a trascorrere le vacanze di Pasqua. Caruso era stato lasciato da solo e la scorta era stata riconfermata.
Il rigore delle indagini, però, alla fine ha colpito Ciancimino. Ma lo ha colpito solo quando ha toccato e ha insistito nel cercare di coinvolgere nelle vicende oscure della trattativa anche De Gennaro, ex capo della polizia e oggi diurettore del Dis, il servizio di sicurezza. Non gli avevano detto nulla per le carte a rate, per il papello ritrovato chissà dove, per i sospetti lanciati contro Berlusconi, che il padre mafioso avrebbe addirittura finanziato ai tempi di Milano due, o contro il generale dei carabinieri Mario Mori, sotto processo con l'accusa di avere agevolato la trattativa tra stato e mafia. Lo hanno incriminato, e non potevano fare diversamente, data la prova provata della patacca, solo quando ha inserito, tra i funzionari infedeli, quelli del “quarto livello” appunto, Gianni De Gennaro. I pm hanno dovuto prendere atto degli imbrogli del grande ventriloquo del padre morto. Credeva, spacciando come verità le presunte confidenze di don Vito, di poter andare avanti all'infinito. Ma si era sbagliato. Anche se ancora pochi giorni fa era andato a dispensare perle di saggezza dal palcoscenico messogli a disposizione dal Festival del giornalismo di Perugia: da lì aveva detto di avere consegnato indirettamente 300 mila euro al discusso neoministro Saverio Romano, credendo probabilmente di dare così una mano a quella parte militarizzata della magistratura che tenta in ogni modo di abbattere il governo e l'Arcinemico che lo presiede. Forse è stata l'ultima dichiarazione clamorosa della serie. Forse.
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