Il “cuore intelligente” di Finkielkraut che non raddrizza il legno storto
Leggere “Un cuore intelligente” di Alain Finkielkraut (tradotto da Francesco Bergamasco per Adelphi) per capire la durezza dello scontro in atto tra i paladini di un'astratta virtù, di un'idea assoluta di bene, morale, civiltà e democrazia da opporre al simbolo vivente di corrotti e corruttori, alias Silvio Berlusconi, e i miti, pazienti, scettici difensori dei dettagli particolari di quel legno storto dell'umanità dalla furia di chi vorrebbe raddrizzarlo.
Leggere “Un cuore intelligente” di Alain Finkielkraut (tradotto da Francesco Bergamasco per Adelphi) per capire la durezza dello scontro in atto tra i paladini di un'astratta virtù, di un'idea assoluta di bene, morale, civiltà e democrazia da opporre al simbolo vivente di corrotti e corruttori, alias Silvio Berlusconi, e i miti, pazienti, scettici difensori dei dettagli particolari di quel legno storto dell'umanità dalla furia di chi vorrebbe raddrizzarlo.
Finkielkraut, certo, non parla di Berlusconi e nemmeno del giudice Ingroia che arringa le piazze; non credo abbia mai letto i sermoni puritani di Barbara Spinelli. E' un libero pensatore che si nutre di Hannah Arendt e Emmanuel Lévinas per riflettere sui danni provocati dall'entusiasmo fanatico dei rivoluzionari, così devoti alla causa del popolo, al mito del partito, al punto da non sapere come tenere a bada il ridicolo, come racconta “Lo Scherzo” del ceco Milan Kundera, sublime affresco delle illusioni rivoluzionarie che hanno minato, anchilosato e asfissiato più d'una generazione di democratici antifascisti.
Il saggio chiave del volume è dedicato a Vasilij Grossman, il tragico scrittore che fu comunista e anticomunista, stalinista fanatico al punto da reclamare, nel 1937, la condanna a morte di anarchici e trotzkisti e denunciare, nel 1953, i medici ebrei accusati di voler avvelenare Stalin. Quando scoppiò la guerra, Grossman seguì in prima linea la battaglia di Stalingrado; colse la segreta affinità del totalitarismo nazicomunista ed ebbe il coraggio di descriverla, diventando una non persona, una non entità, braccato dal regime stalinista, condannato al silenzio, reietto, dimenticato. Bisognava aspettare la fine dell'Urss e lo sforzo di revisione storica per ridargli voce, tant'è che a quindici anni di distanza da François Furet, Finkielkraut ritorna sui grandi romanzi come “Tutto scorre”, “Vita e destino”, e armato di profondità talmudica illustra l'essenza tragica dell'equivoco in cui lo stesso Grossman cadde e dal quale riuscì a redimersi.
Finkielkraut racconta i Giuda descritti da Grossman: come il poveraccio sopravvissuto a dodici anni di Gulag, dopo una condanna ai lavori forzati per aver calunniato un innocente, come lo spione pieno di zelo che ha rovinato centinaia di persone per riscattarsi dall'origine privilegiata, come il delatore che fa a pezzi gli avversari interni per fare carriera, o il fanatico mosso dall'interesse che ha vissuto fra letti cisposi e sudici tram e denuncia tutti i ricchi su cui si posa il suo sguardo.
Grossman però ha un cuore intelligente, spiega Alain Finkielkraut: non segue più Lenin, ma piuttosto Cechov, non assolve né condanna nessuno, ma cerca solo di sottrarre il particolare al dominio incondizionato del generale. A questo serve la letteratura, dopo la morte di Dio e la sbornia della religione secolare. Eppure noi che lo scopriamo solo ora, scrive Finkielkraut, “oggi che la tecnologia offre mezzi straordinari al desiderio di aggredire e denunciare la vita altrui, rendendola pubblica, con l'alibi di non essere al servizio del potere ma di vigiliare su di esso, siamo sfiorati dall'alito soave del conformismo ideologico, e preferiamo firmare appelli contro l'intolleranza e l'omofobia, piuttosto che finire fra i bigotti e i piccolo borghesi nell'inferno della reazione”. Per questo Ingroia e la Spinelli hanno tanta presa. Sono residui rivoluzionari che lottano per sradicare il male, ma esprimono, senza saperlo, la volontà esaltata di una società perfetta e invivibile.
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