Gattemorte
La gattamorta non prende la macchina da sola la sera, non si concede al primo appuntamento, neanche al secondo e forse nemmeno al terzo per precisa strategia d'accalappiamento, la gattamorta finge pudicizia, tace languidamente invece di fare battute cameratesche, si ubriaca con un sorso di birra ma senza risultare scomposta, ha freddo, le pesa la borsa, è misteriosa ma con bisogno di protezione, non commette mai lo stupido errore di diventare amica di un uomo, si fa desiderare.
La gattamorta non prende la macchina da sola la sera, non si concede al primo appuntamento, neanche al secondo e forse nemmeno al terzo per precisa strategia d'accalappiamento, la gattamorta finge pudicizia, tace languidamente invece di fare battute cameratesche, si ubriaca con un sorso di birra ma senza risultare scomposta, ha freddo, le pesa la borsa, è misteriosa ma con bisogno di protezione, non commette mai lo stupido errore di diventare amica di un uomo, si fa desiderare, scappa invece di inseguire (senza prendere in considerazione la spaventosa eventualità che tormenta le non gattemorte: e se scappo e nessuno mi insegue?) e naturalmente vince sempre.
Chiara Moscardelli descrive così la sua nemica antropologica in “Volevo essere una gatta morta” (appena uscito per Einaudi Stile Libero), romanzo autobiografico e manifesto comico delle anti gattemorte (qui si scrive attaccato, per deferenza). La non gattamorta è: goffa, spontanea, insicura, di larghe vedute, preda di attacchi di colite e problemi depilatori, ossessionata dalla ricerca dell'uomo ideale (durante la quale inciampa, fra gli altri, in un tizio con mutande ghepardate e in uno che a messaggi esistenzialisti le risponde: “Pensa al mio cazzo!”).
La non gattamorta combina disastri, è rancorosa anche verso Bridget Jones (che pur cicciottella e semialcolizzata può scegliere fra due uomini niente male e innamoratissimi, mentre lei ne ospita altri due nel suo monolocale che brindano parlando di scopate e augurandosi di trovare la donna ideale), viene oltraggiata dall'incontro con tre rapinatori, uno dei quali con la siringa in mano, che non hanno nessuno stupro in mente (“Violentarti? Ma no, che violentarti. Dacci i soldi e ce ne andiamo”). Traumatizzata da una crociera in cui, adolescente, declinò un invito e finì la vacanza in cabina con la febbre, colleziona incontri sbagliati: “Forse è la ragione per cui non riesco mai a dire di no a un uomo: ho paura che, posticipando l'incontro, la salmonellosi possa di nuovo mettermi fuori gioco”. Chiara Moscardelli lo ammette fra le righe: la gattamorta è un insopportabile genio, una categoria superiore, e non esistono armi per sconfiggerla.
Raggiunge gli scopi, non è sfiorata dal ridicolo, viene chiesta in moglie (bisogna aggiungere, per chiarezza, che esistono anche gattemorte non interessate al matrimonio, ma il punto è che qualunque obiettivo si prefigga, la gattamorta ce la farà). Ogni non gattamorta ha diritto a consolarsi per l'ingiustizia genetica (gattemorte si nasce, non si diventa, scrive Chiara Moscardelli) elencando i difetti della nemica: poche idee, nessuna indipendenza intellettuale, niente senso dell'umorismo. Sarà, ma la gatta morta conosce il trucco numero uno, quello supremo: “Ogni tanto, ditegli che è un genio. Rimarrà tra lui e voi, non lo saprà nessuno”.
Il Foglio sportivo - in corpore sano