L'indiano che governa il Tibet

Giulia Pompili

Non ha mai messo piede nel paese che si accinge a governare, ma è stato eletto oggi con il cinquantacinque per cento di preferenze dai suoi cittadini, battendo gli altri due candidati premier. E' Lobsang Sangay, 43 anni, il nuovo Kalon Tripa, primo ministro della regione autonoma del Tibet in Cina, dal marzo del 1959 in esilio a Dharamsala, un villaggio sulle montagne al nord dell'India.

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    Non ha mai messo piede nel paese che si accinge a governare, ma è stato eletto oggi con il cinquantacinque per cento di preferenze dai suoi cittadini, battendo gli altri due candidati premier. E' Lobsang Sangay, 43 anni, il nuovo Kalon Tripa, primo ministro della regione autonoma del Tibet in Cina, dal marzo del 1959 in esilio a Dharamsala, un villaggio sulle montagne al nord dell'India. Il 14 marzo scorso il Dalai Lama Tenzin Gyatso, che precedentemente ricopriva sia il ruolo di capo spirituale sia quello di capo dello stato tibetano in esilio, si è ritirato dalla vita politica attiva e ha proposto ai tibetani la scissione fra l'amministrazione delle questioni temporali e quelle spirituali. La decisione ha aperto le porte a una transizione dal notevole valore politico e storico, e soprattutto conferisce al neoeletto Kalon Tripa maggiori responsabilità rispetto al suo predecessore.

    Il nuovo capo del governo (strutturato da un esecutivo di sette ministeri, mentre il potere legislativo appartiene all'Assemblea costituita da quarantanove deputati) è nato in un villaggio di rifugiati tibetani in India. A Darjeeling, nel 1958, i genitori di Sangay avevano seguito il Dalai Lama fuggito dal Tibet orientale in India dopo la rivolta di Lahsa – l'istituzione delle “riforme democratiche” da parte del governo cinese nella Regione autonoma e la sistematica repressione dei dissidenti, infatti, portarono circa settantamila tibetani a rifugiarsi in Nepal e India tra il 1958 al 1962. 
 


    Il nuovo Kalon Tripa è un giovane esperto di diritto internazionale, laureato in Legge all'Università di Delhi e poi dottore di ricerca ad Harvard, dove attualmente è ricercatore associato. Vive a Boston con la sua famiglia, ma è atteso a Dharamsala a maggio, quando succederà ufficialmente al settantaduenne Lobsang Tenzin, meglio conosciuto come il professor Samdhong Rinpoche. Quest'ultimo, eletto sia nelle votazioni del 2001 che in quelle del 2006, già due anni fa aveva rassegnato le dimissioni per “motivi personali”, ma il Dalai Lama le aveva rifiutate perché “sarebbe stato un segnale negativo”, facilmente manipolabile dai cinesi nella propaganda antitibetana.

    Sangay da ragazzo è stato membro del Tibetan Youth Congress, uno dei gruppi più radicali nella lotta per l'indipendenza del Tibet, ma nel corso degli anni la sua politica ha virato verso posizioni più moderate e simili a quelle del Dalai Lama. La lotta per l'indipendenza, nel suo pensiero politico, è mediata dall'ipotesi di una maggiore autonomia nei confronti della Cina – idea che gli ha attirato le critiche dei secessionisti, ma che è più vicina all'idea di “via di mezzo” propugnata da Tenzin Gyatso, una vera autonomia all'interno della Cina o nell'ambito della Costituzione cinese.

    In un'intervista al giornale Tibetan Political Review, Sangay ha detto che tra i principali problemi che il governo tibetano in esilio dovrà affrontare c'è quello di custodire la libertà del movimento di liberazione, dare nuovo impulso alla struttura amministrativa fuori dal Tibet e mantenere vivo il ruolo del Dalai Lama: “Dobbiamo sostenere con qualsiasi mezzo il coraggio dei nostri connazionali in Tibet”. Almeno sei milioni di tibetani vivono ancora in Cina, mentre altri centoquarantamila sono esuli in Nepal e India: “L'elezione di una nuova generazione di leader deve essere un segnale per il governo cinese: noi lotteremo fino alla fine”, ha detto Sangay. 

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    • Giulia Pompili
    • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.