L'errore blu di Berlusconi
Non sa dire le bugie perché non è un politico professionale, e per questo avevamo notato che è amabile e ancora piuttosto amato nonostante tutto. Anche l'ultimo dei politicanti avrebbe detto che la moratoria sul nucleare si è resa necessaria, magari per una “pausa di riflessione”, alla luce dell'incidente di Fukushima, e chiamiamolo incidente. Berlusconi no. Dice come stanno davvero le cose.
Leggi Governo duro e diviso sulla Libia, ma con Sarkozy tocca fare buon viso - Leggi Verso una Schengen più stretta. Una lettera alla Ue per rivedere il Trattato - Guarda la puntata di Qui Radio Londra Berlusconi non sa dire bugie (ma sa sbagliare)
Non sa dire le bugie perché non è un politico professionale, e per questo avevamo notato che è amabile e ancora piuttosto amato nonostante tutto. Anche l'ultimo dei politicanti avrebbe detto che la moratoria sul nucleare si è resa necessaria, magari per una “pausa di riflessione”, alla luce dell'incidente di Fukushima, e chiamiamolo incidente. Berlusconi no. Dice come stanno davvero le cose. Il governo aveva paura del referendum sul nucleare perché l'opinione pubblica ha paura del nucleare, dunque volendo avviare il nucleare era meglio evitare il referendum ritardando ogni decisione a tempi meno convulsi.
Però sulla stolta guerra di Libia Berlusconi, non sapendo valutare con professionismo politico una decisione di politica estera cruciale, ha sbagliato, e non ci sono amabili verità o mezze verità sui bombardamenti mirati che possano cambiare il giudizio (naturalmente speriamo di sbagliare noi). Quella guerra è stolta, detto con lealismo occidentale e rispetto per chi la fa, perché anche se mozzassero la testa a Gheddafi, a parte la soddisfazione napoleonico-coloniale di due politici di medio livello come Sarkozy e Cameron, il risultato non cambierebbe: grandi mezzi di teatro, vittime e lutti per un'impresa nata tardi e male, sviluppatasi nella confusione e nel sospetto, con la falsa protezione legale di una risoluzione dell'Onu stiracchiata e piegata alle convenienze più ipocrite, e alla fine, forse, chissà quando, la deposizione di un despota in pensione, che non ha alcuna centralità strategica da anni, che era stato piegato all'alba di una guerra giusta e valorosa, quella dell'Iraq. Il risultato vero sarebbe l'insediamento a Tripoli di un potere di cui si sa poco, e che per quel poco che se ne sa non promette niente di buono. Il risultato più appariscente è quello di nuove ondate migratorie selvagge, di cui l'Italia paga per adesso il maggior prezzo. Abbiamo fatto e facciamo in Libano la guardia al bidone, permettendo a Hezbollah, quelli sì un esercito di despoti armati dall'Iran e pronti a mordere Israele alla giugulare; ora facciamo la guardia al bidone della guerra libica.
Berlusconi e con lui l'Italia non avevano la forza diplomatica e politica di fare come la Germania, cioè di non partecipare all'avvio delle operazioni. Le basi dovevamo darle, perché la decisione alleata era presa. E una partecipazione logistica era la premessa per un'azione diplomatica, che s'è vista poco, in favore di un negoziato che sfociasse in una tregua e poi in una composizione per il post Gheddafi, ciò che richiede tempo e pazienza. Il basso profilo, per un paese che fu abbastanza coraggioso quando si trattò di deporre veri despoti in servizio che mandavano missili su Tel Aviv e regimi sanguinari come quello dei talebani protettori di Bin Laden, era una soluzione. Ora anche quella è svanita.
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