Napoli e il primo Pd senza manette

Claudio Cerasa

C'è un magistrato, un prefetto, un imprenditore, un avvocato, un ingegnere e un ex ministro… Mmmm, no. C'è uno scrittore, un professore, un ex governatore, uno spezzino, un salernitano, un napoletano… Mmmm, no. C'è un presidente, un imputato, un penalista, un indagato, un segretario, uno studente… Mmmm, no, non ci siamo proprio. Ecco, diciamola tutta.

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    C'è un magistrato, un prefetto, un imprenditore, un avvocato, un ingegnere e un ex ministro… Mmmm, no. C'è uno scrittore, un professore, un ex governatore, uno spezzino, un salernitano, un napoletano… Mmmm, no. C'è un presidente, un imputato, un penalista, un indagato, un segretario, uno studente… Mmmm, no, non ci siamo proprio. Ecco, diciamola tutta: a Napoli ci sono davvero molti modi, molti punti di vista e molte chiavi di lettura diverse per raccontare la storia di una delle campagne elettorali più pazze che si siano mai viste in giro per l'Italia negli ultimi anni.

    E così si potrebbe partire dalla descrizione delle difficili (eufemismo) condizioni in cui si trova da anni il capoluogo campano. Si potrebbe partire dalle notevoli biografie dei dieci candidati sindaci (per dire: c'è anche Carlo Taormina). Si potrebbe partire dalle incredibili acrobazie fatte dal Pd per trovare un candidato capace di contendere al centrodestra lo scettro di sindaco della città (vedi le primarie prima convocate e poi misteriosamente annullate, vedi le centinaia di minacciosi cinesi immortalati di fronte ai gazebo democratici, vedi le eterodirezioni di scomodi scrittori con molti anelli sulle dita). E si potrebbe persino partire, tanto per farsi due risate, anche dagli appassionanti scambi d'opinione offerti alla città dal ruspante ex ministro Clemente Mastella e dallo spietato ex magistrato Luigi De Magistris (scena dello scorso 31 marzo di fronte alle telecamere dell'emittente locale napoletana Canale 21: De Magistris: “Lei è un personaggio folcloristico”. Mastella: “Lei è un farabutto”. De Magistris: “E lei è da seduta psichiatrica”. Mastella: “Io sono un uomo, lei no”. De Magistris: “Sembri la Santanché”, e così via…).

    Ma la verità è che tra i tanti stuzzicanti spunti di riflessione suggeriti in questi giorni dalla campagna napoletana quello più stimolante riguarda un fenomeno con il quale i massimi dirigenti del Partito democratico si sono ritrovati a dover fare i conti in modo tanto gradito quanto decisamente inaspettato: un Pd senza manette. Succede così che – dopo una serie di sciagurate circostanze che hanno persino portato il Pd a revocare il risultato delle primarie convocate in pompa magna appena tre mesi fa (vedi box in basso nella pagina) – a Napoli, di fatto, il Partito democratico si trova per la prima volta ad affrontare un'anomala campagna elettorale in cui non solo non vi sarà nessun accordo scritto con l'Italia dei valori ma in cui il candidato del Pd (il prefetto Mario Morcone) sarà costretto a combattere proprio contro uno dei massimi esponenti del dipietrismo: l'ex magistrato Luigi De Magistris. E se è vero che la battaglia tra Morcone e De Magistris rischia di offrire un discreto margine di manovra al candidato del centrodestra Gianni Lettieri (ancora oggi principe dei sondaggi nonostante una serie non indifferente di gaffe che hanno fatto più volte tremare i vertici del Pdl campano, l'ultima delle quali è stata registrata appena due settimane fa quando l'imprenditore napoletano ha dovuto ammettere di aver costruito il suo programma elettorale copiando quasi interamente, persino nello stile grafico dei titoletti e nella lunghezza dei paragrafi, il programma scritto tre anni fa dal sindaco di Firenze Matteo Renzi); dall'altro lato, però, in questo strano scenario depurato dagli inflessibili vincoli del populismo dipietrista, il Pd, come dire, sembra sentirsi inaspettatamente a proprio agio.

    “Io lo so che fino a oggi sono stati commessi molti errori e lo so perfettamente che ci sono state troppe cose che non hanno funzionato come avrebbero dovuto. So anche che non sarà facile ottenere un buon risultato a Napoli ma sono certo che se le cose dovessero andare bene, come credo che accadrà, beh, signori, qui abbiamo davvero un'occasione straordinaria”. L'occasione “straordinaria” di cui parla in queste righe Andrea Orlando (che è deputato dem e che oltre a essere responsabile del partito in materia di giustizia è anche, da due mesi, il commissario straordinario del Pd a Napoli) non è legata solo l'eventualità che il Pd riesca a imporsi nuovamente nel capoluogo campano (cosa molto complicata, a dire il vero) ma anche a un particolare dato politico, sempre relativo al caso Napoli, che in questi giorni non è certo sfuggito a una buona fetta dei vertici nazionali del Partito democratico.

    “E' vero – ammette Orlando – il fatto che il Pd possa dimostrare di essere un partito che per vincere non ha bisogno di impugnare le armi del giustizialismo più becero è un'opportunità che sarebbe davvero un peccato non riuscire a sfruttare. E in questo senso, è evidente che se dovessimo riuscire a costruire a Napoli una piattaforma riformista capace di differenziarsi, in modo significativo, dal populismo irresponsabile dei vari demagistris, ecco, credo davvero che per il nostro partito potrebbe aprirsi una nuova era”.

    Prima ancora di arrivare a parlare con Orlando, il nostro viaggio nel capoluogo campano comincia alle 9 e 30 di venerdì 22 aprile al terzo piano di una vecchia palazzina liberty al civico numero tredici di via Cardinale Guglielmo San Felice. Qui, a pochi passi dallo scalpiccio di via Toledo e a pochi metri dall'incrocio tra corso Umberto I e via Agostino Depretis, ci invita a prendere un caffè uno dei veterani del Pd napoletano: Berardo Impegno, ex segretario del Pci partenopeo, ex consigliere comunale, padre dell'attuale presidente del Consiglio comunale napoletano (Leonardo Impegno) e, per sua stessa ironica ammissione, “uno di quelli che Massimo D'Alema chiamerebbe, con tono molto minaccioso, ‘capobastone'”. Dice Berardo: “Vedete: io credo che per un qualsiasi democratico di buona volontà ritrovarsi in una campagna elettorale in cui non si ha addosso la zavorra del dipietrismo sia una grande liberazione. Ed è inutile girarci attorno: perché uno come De Magistris rappresenta, per noi, una visione demagogica, distorta e per certi versi fondamentalista della politica: una visione che non può che essere estranea al nostro modo di pensare. E il fatto di essere oggi svincolati dalle ossessioni del giustizialismo credo possa essere una grande opportunità per sfruttare in modo intelligente il nostro ricco patrimonio culturale riformista. So che di questi tempi la parola ‘laboratorio' è un termine molto abusato ma posso dire che oggi Napoli è davvero piena di democratici che sognano di far rivivere le idee della grande tradizione migliorista dei nostri Giorgio Amendola, dei nostri Gerardo Chiaromonte, dei nostri Giorgio Napolitano, e che desiderano fortissimamente dimostrare agli elettori che il Pd, di per sé, è un partito non solo estraneo ma perfettamente alternativo alla cultura giustizialista. Mi rendo conto che qui non siamo nelle condizioni di poter sperimentare chissà che, ma, vedete, pensare che i democratici possano esprimere tutto il loro sdegno per quel genere di masanielli cresciuti negli studi televisivi e buoni solo – dice Berardo sovrapponendo i polsi all'altezza della fronte come a voler simulare il famoso gesto delle manette del nostro amato Mourinho – a far tintinnare minacciosamente i ferri della giustizia, beh, per un vero democratico credo sia una sensazione semplicemente impagabile”.

    Una volta concluso il ragionamento, Berardo srotola un gigantesco manifesto con il faccione del figlio Leonardo, inizia a parlare dei sondaggi per le prossime comunali, spiega – con un complicatissimo e incomprensibile calcolo matematico recitato in napoletano stretto – perché è tecnicamente impossibile che Morcone non arrivi al ballottaggio, poi si infila una giacca di pelle nera, saluta gli amici arrivati da pochi minuti nella sua casa (trasformata per l'occasione in comitato elettorale) e ci accompagna fino a via Toledo, angolo con piazza della Carità, dove ci aspettano altri importanti dirigenti del Pd napoletano.

    Prima di arrivare però alla sede provinciale del Partito democratico, Berardo ci fa fare una piccola deviazione sull'ultimo tratto di un lungo stradone che collega la stazione Centrale con la sede dell'Università Federico II per mostrarci, per qualche istante, la condizione in cui, per via della monnezza, si trova una delle strade più importanti di Napoli: corso Umberto I. Obiettivamente, in questa zona della città il paesaggio è ancora piuttosto desolante: Berardo ci spiega che a Napoli in questi giorni ci sono circa 1.500 tonnellate di rifiuti che quotidianamente non riescono a essere smaltite e le montagne di spazzatura – su corso Umberto ce ne sono circa una ogni trecento metri e alcune sono veramente gigantesche – ormai sembrano essere effettivamente diventate, almeno per il turista, solo una buffa, strana e curiosa attrazione che più che far sdegnare fa venire semplicemente una voglia matta di fermarsi un attimo per stare lì un po' a fotografare.
    Superato corso Umberto I e oltrepassati il casermone della questura e il palazzo della provincia, arriviamo al secondo piano di un grosso edificio al civico numero 106 di via Toledo, sede del Pd napoletano, dove – poco prima di scambiare due chiacchiere qualche metro più in là, all'altezza di piazza del Plebiscito, con il candidato sindaco del Pd – incontriamo un paio di dirigenti democratici con cui approfondiamo il tema del Pd senza manette. Il primo con cui parliamo si chiama Gino Cimmino, è il vicesegretario della federazione napoletana, è un dirigente di tradizione migliorista ed è stato uno degli sponsor di Umberto Ranieri alle ultime disgraziate primarie. Cimmino ci accoglie nella grande sala riunioni del Pd e con grande prudenza affronta l'argomento di un Pd libero da Di Pietro.

    “Saremmo pazzi – dice Cimmino – a pensare che in un momento di difficoltà come quello che stiamo vivendo sia il caso di fare esperimenti di chissà che tipo, e saremmo sciocchi a negare che il nostro obiettivo, se dovessimo arrivare al secondo turno, sia quello di far convergere sul nostro candidato i voti di coloro che sceglieranno al primo turno De Magistris. Ma detto questo, ecco, è vero che a Napoli abbiamo l'opportunità clamorosa di dimostrare che il nostro partito può davvero imporsi proponendo ai suoi elettori un profilo più forte, più credibile e meno legato al populismo dei candidati alla De Magistris”.

    Cimmino finisce di parlare, si allontana per dare un'occhiata agli ultimi manifesti della campagna elettorale e un attimo dopo, sempre nella sala riunioni, arriva Andrea Orlando, che al nostro discorso aggiunge uno spunto di riflessione interessante. “A Napoli – dice – c'è un aspetto del Pd che credo che i nostri elettori stiano imparando a scoprire a poco a poco, ed è un aspetto di cui andiamo orgogliosi e che potremmo riassumere con un ragionamento molto semplice. Perché credo che mai come in questa campagna sia diventato chiaro che il Pd ha capito non solo che la diffusa tendenza a risolvere per via giudiziaria la complessità dei problemi della politica non è una buona strategia per costruire un partito riformista ma che sull'asse giustizialista è davvero impossibile pensare di dar vita oggi, in qualsiasi contesto, a un vero Pd di governo. Certo: a metà maggio sarebbe drammatico scoprire che senza i dipietristi e i vari demagistris il Pd non è più in grado di vincere un'elezione, ma detto questo credo che avere comunque la possibilità di impostare una campagna diversa da quelle che abbiamo visto finora possa non solo premiarci ma anche essere un ottimo stimolo per provare a modernizzare un po' il nostro amato Pd”.

    Conclusa la nostra chiacchierata con Orlando ci spostiamo verso il lungomare, in zona piazza del Plebiscito, dove abbiamo appuntamento con il prefetto Mario Morcone. Lungo la parte finale di via Toledo, e fino all'estremità più a sud di piazza del Plebiscito, le strade della città si presentano improvvisamente pulite, limpide, cristalline, senza cartacce, senza cicche per terra, senza rifiuti in fiamme, senza cassonetti rovesciati e senza montagne di monnezza accatastata, come invece avevamo visto precedentemente, sul ciglio della strada. Arrivati però nei pressi del lungomare, nel cuore del quartiere San Ferdinando, a pochi passi dal porto di Napoli, la situazione torna a essere disastrosa, e addentrandosi tra i viottoli costruiti dietro la Biblioteca Vittorio Emanuele III non è difficile scovare qua e là nuovi cumuli di sacchetti colorati profondamente intrisi di orribili olezzi tossici.
    Finito di dare un'occhiata alle strade che circondano la centralissima piazza del Plebiscito, alle 16 e 30, di fronte al Gambrinus, si presenta il prefetto Mario Morcone. E dopo esserci rapidamente presentati ci sediamo con lui attorno a un tavolino all'esterno del bar e iniziamo a parlare. Abbiamo poco tempo ma il prefetto, con una battuta rapida, ci offre un quadro piuttosto chiaro della sua diffidenza, chiamiamola così, per il candidato dipietrista.
    “Mettetela come volete – dice Morcone – ma io credo che oggi sia difficile per un qualsiasi elettore di centrosinistra non riconoscere che a Napoli c'è qualcuno che prova a dare delle risposte concrete per risolvere i guai della città mentre c'è qualcun altro, come per esempio De Magistris, che cerca populisticamente di cavalcare la rabbia dei napoletani fingendo di essere il simbolo di non si capisce bene quella Etica, con la E maiuscola, universalmente riconosciuta e chiaramente cristallina. Le leadership, e questo i nostri elettori lo sanno, non si costruiscono con le comparsate nei programmi televisivi e io, anche per questo, credo sia stato un atto di grande maturità esserci rifiutati di stringere patti con questa specie di moderno Masaniello”.
    Certo: nonostante la buona volontà dei democratici, nonostante lo spirito migliorista del Pd napoletano e nonostante il piglio del gagliardo Morcone, nel capoluogo campano la situazione per il centrosinistra sembra essere quasi disperata: e non solo non è da escludere che il candidato del Pdl (Gianni Lettieri) riesca a imporsi al primo turno ma non è neppure da escludere che al ballottaggio, al posto di Morcone, ci arrivi proprio De Magistris. In realtà, per il Pd i sondaggi sono meno apocalittici rispetto a quelli riportati in questi giorni da alcuni quotidiani (vedi il Riformista di due giorni fa) e anche se al momento Lettieri pare abbia un potenziale vicino al 38 per cento non risulta, in tutte le principali rilevazioni, che Morcone sia in svantaggio rispetto al candidato dell'Italia dei valori (vedi box in basso a destra in fondo alla pagina). Detto questo, è evidente che l'esperimento del Pd partenopeo non sarà di semplice riuscita ma nonostante la grande incertezza della tornata elettorale napoletana (per la quale il Pd ha chiesto da pochi giorni una mano, oltre che a Umberto Ranieri e Andrea Cozzolino, anche all'ex governatore campano Antonio Bassolino) non sembra esserci imbarazzo tra i democratici a rivendicare con forza la scelta di presentarsi alle elezioni senza dipietristi. E dando uno sguardo anche a quanto sta succedendo in questi giorni nelle campagne elettorali sparpagliate qua e là in giro per l'Italia (vedi box in basso a sinistra), l'impressione è che il “Pd senza manette” potrebbe non restare un fenomeno circoscritto al solo ambito napoletano. E così in vista delle prossime amministrative scopriamo che oltre a Napoli esistono anche altri casi significativi in cui il Pd si presenterà alle urne contro, e non assieme, un candidato dipietrista. Andrà così alle elezioni alla provincia di Campobasso (dove Idv e Pd avranno due candidati distinti: Pierpaolo Nagni e Micaela Fanelli), andrà così alle elezioni al comune di Novara (dove Idv e Pd avranno anche lì due candidati distinti: Giovanni Pace e Andrea Ballarè), andrà così alle elezioni al comune di Salerno (dove Idv e Pd avranno anche lì due candidati distinti: Rosa Egidio Masullo e Vincenzo De Luca), andrà così alle elezioni al comune di Rovigo (dove Idv e Pd avranno anche lì due candidati distinti: Giovanni Nalin e Federico Frigato), andrà così alle elezioni alla provincia di Vercelli (dove Idv e Pd avranno anche lì due candidati distinti: Carlo Rossi e Luigi Bobba), e andrà così soprattutto alle elezioni che si terranno l'anno prossimo nella città che si trova sulla sponda opposta del mar Tirreno, nell'altra capitale del regno delle due Sicilie: in quella Palermo dove tra un anno esatto, per giocarsi il dopo Diego Cammarata, il Partito democratico e l'Italia dei valori presenteranno anche lì, salvo sorprese, due candidati perfettamente distinti.

    “C'è poco da fare – ammette il senatore del Pd Enrico Morando, che ai tempi della segreteria Veltroni ricoprì per mesi il ruolo di commissario straordinario di Napoli – la voglia di lavorare a un futuro in cui il Pd riesca a vivere senza essere stretto nella morsa del dipietrismo è molto forte. Da veltroniano so di scontare un peccato originale mica da poco, perché fu durante la segreteria di Walter che il Pd scelse di allearsi con Di Pietro, ma a posteriori credo sia possibile dire che se quella scelta fu obbligata non si può dire che sia stata anche del tutto saggia. Il Pd, e oggi dovrebbe essere più chiaro che mai, avrebbe un urgente bisogno di rafforzare il suo profilo più intrinsecamente riformista ed evitare di imbarcare nelle proprie alleanze future tutto quello che passa il convento ed è anche per questo che oggi non mi sembra davvero niente male pensare di avere l'occasione di dimostrare una buona volta che il Pd, con i vari demagistris, come direbbe Di Pietro, semplicemente non c'azzecca proprio nulla”.

     

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    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.