Putin riesuma il linguaggio “da cessi” e sfida il delfino Medvedev

Luigi De Biase

L'ultimo a perdere il posto è stato Gleb Pavlovski, uno dei consiglieri politici più conosciuti e più ascoltati di Russia. Il quotidiano Vedomosti ha messo da parte i comunicati ufficiali e ha descritto con cura il modo in cui lo hanno licenziato: il numero due dello staff presidenziale, Vladislav Surkov, lo ha convocato nel proprio ufficio al Cremlino con una scusa qualsiasi, lo ha fatto sedere dall'altra parte della scrivania e gli ha domandato la tessera di riconoscimento.

    L'ultimo a perdere il posto è stato Gleb Pavlovski, uno dei consiglieri politici più conosciuti e più ascoltati di Russia. Il quotidiano Vedomosti ha messo da parte i comunicati ufficiali e ha descritto con cura il modo in cui lo hanno licenziato: il numero due dello staff presidenziale, Vladislav Surkov, lo ha convocato nel proprio ufficio al Cremlino con una scusa qualsiasi, lo ha fatto sedere dall'altra parte della scrivania e gli ha domandato la tessera di riconoscimento. Quella che, per anni, lo ha fatto entrare nei palazzi del potere moscovita. Pavlovski è stato al fianco di Vladimir Putin quando Putin era il presidente della Federazione ed è poi passato con il suo successore, Dmitri Medvedev. Molti pensano che il consigliere abbia commesso un errore decisivo negli ultimi giorni: ha detto che Medvedev è la persona giusta per guidare il paese e gli ha augurato di vincere le elezioni del 2012. E' un momento poco opportuno per una dichiarazione del genere. La campagna non è ancora cominciata, Putin e Medvedev dicono che decideranno presto chi di loro si candiderà alle prossime elezioni e lo faranno di comune accordo, senza “bagni di sangue”, ma già si scambiano qualche colpo poco fraterno. Alcuni sostengono che Pavlovski non abbia pagato per il sostegno a Medvedev: il suo errore è stato quello di portare il dibattito fuori dal Cremlino.

    Medvedev è presidente dal 2008. Quando Putin lo ha scelto per succedergli alla guida del Cremlino, pochi in Europa conoscevano il suo nome. Tutti e due sono nati a Pietroburgo, ma sembrano cresciuti in due mondi diversi: Putin è il figlio di un marinaio entrato presto nei servizi segreti, Medvedev viene da una famiglia di insegnanti universitari e ha lavorato a lungo per Gazprom. Negli anni di convivenza si sono divisi i compiti secondo regole precise: Medvedev si è occupato di politica estera, mentre il premier Putin ha pensato all'economia e agli affari di casa. Gli incroci sono stati minimi – almeno per quel che riguarda la sfera pubblica – anche se ora i segni di una possibile crisi sono in aumento. A fine marzo, Putin ha definito l'intervento militare in Libia “una crociata”, e lo ha fatto lo stesso giorno in cui Medvedev riceveva una delegazione americana al Cremlino e garantiva l'assenso della Russia all'operazione. Il presidente ha bollato quelle parole come “inopportune”, ma non è riuscito a fermare la furia del premier. Che è tornato sul tema tre giorni fa. “Che tipo di ‘non fly zone' permette di colpire palazzi presidenziali ogni notte – ha detto Putin tre giorni fa – Che bisogno hanno di bombardare i palazzi? Vogliono far uscire i topi? Quando la cosiddetta ‘società civile' si riunisce contro un piccolo paese, distruggendo infrastrutture che sono state costruite in generazioni, è un bene o un male? A me personalmente non piace”.

    Il discorso ha segnato il ritorno di Putin sulla scena elettorale. Nelle ultime settimane è stato soprattutto Medvedev a far discutere: prima ha ribadito la propria intenzione di restare al Cremlino per un altro mandato, poi ha ordinato ai ministri di lasciare ogni incarico nelle società pubbliche. Nonostante le differenze, i due leader hanno programmi compatibili e stili di comando simili. Putin è conosciuto per il linguaggio efficace e crudo, ha ricostruito l'economia russa e ha restituito al paese un ruolo di primo piano negli equilibri internazionali, ma ha anche incassato le critiche di numerose organizzazioni umanitarie. Medvedev dice di essere un “liberista”, è il grande favorito dei media europei e ha mostrato di avere la forza che serve a difendere gli interessi strategici del Cremlino (nel 2008 ha ordinato l'invasione della Georgia) e quelli della corrente che lo vorrebbe ancora alla guida della nazione. Il presidente americano, Barack Obama, non ha mai fatto mistero di preferire Medvedev come interlocutore. Ma il suo vice, Joe Biden, ha appena invitato Putin alla Casa Bianca per un incontro. E' un fatto stravagante, perché il premier russo non ha competenze in fatto di politica estera. Forse, a Washington, qualcuno si è accorto che l'epoca di Putin proseguirà.