Dieci anni dopo, nessun arabo va in piazza per Bin Laden

Marco Pedersini

L'11 settembre 2001, a Nablus e a Ramallah, molti palestinesi scesero in strada per festeggiare il clamoroso attacco terroristico alle Torri gemelle, nonostante il parere contrario dell'allora presidente dell'Anp, Yasser Arafat. La notizia della morte di Osama bin Laden, invece, è stata accolta ieri con toni molto minori. Nessun leader politico della regione ha reagito subito, se si esclude il premier israeliano Benjamin Netanyahu, che si è complimentato per la “vittoria strepitosa per la giustizia, la libertà e per i paesi democratici che combattono fianco a fianco contro il terrore”.

    L'11 settembre 2001, a Nablus e a Ramallah, molti palestinesi scesero in strada per festeggiare il clamoroso attacco terroristico alle Torri gemelle, nonostante il parere contrario dell'allora presidente dell'Anp, Yasser Arafat. La notizia della morte di Osama bin Laden, invece, è stata accolta ieri con toni molto minori. Nessun leader politico della regione ha reagito subito, se si esclude il premier israeliano Benjamin Netanyahu, che si è complimentato per la “vittoria strepitosa per la giustizia, la libertà e per i paesi democratici che combattono fianco a fianco contro il terrore”. Nessuno è sceso a manifestare gioia o dolore in quelle piazze orientali che da fine gennaio si sono dimostrate così facilmente infiammabili: silenzio da parte del ministero degli Esteri egiziano, silenzio per le strade del Cairo, dove un reporter del Wall Street Journal, per riuscire a raccattare materiale per un articolo s'è dovuto rassegnare a chiedere il parere ai passanti davanti a un'edicola; silenzio nelle piazze della Cisgiordania, dove l'Anp ha fatto sapere di ritenere la morte del capo di al Qaida “un fatto importante per il processo di pace in medio oriente e per tutto il mondo”. Le prime dichiarazioni velenose sono venute da Gaza, dove il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, ha detto che l'“omicidio del mujaheddin musulmano” Osama bin Laden è “la continuazione della politica americana basata sull'oppressione e sul versamento di sangue arabo e islamico”. Alla condanna di Hamas si è affiancato lo scetticismo del Parlamento di Teheran, che attraverso il capo della commissione Esteri, Alaeddin Boroujerdi, ha espresso la massima diffidenza rispetto alla morte del capo jihadista. Non sono mancate le interpretazioni acrobatiche: secondo il capo della commissione per la Sicurezza nazionale iraniana, Javad Jahangirzadeh, gli Stati Uniti hanno ucciso Bin Laden per paura che rivelasse informazioni riservate.

    Il fatto è che la notizia della decapitazione di al Qaida ha trovato un medio oriente diverso, con regimi in balia di rivolgimenti di piazza e con un'insofferenza diffusa rispetto ai metodi estremi della lotta jihadista. “La notizia della morte di Bin Laden è buona per la reputazione, il potere e l'influenza degli Stati Uniti – ha scritto Nicholas Kristof sul New York Times – ma sarebbe stata più importante nel 2002 o nel 2003. Allora il sentire comune, in paesi come il Pakistan, era dalla parte di Bin Laden, ma nel tempo le cose sono cambiate e le magliette di Osama bin Laden sono scomparse dai mercati. Se gli americani non si faranno vedere troppo trionfanti, danzando sulla bara di Bin Laden, saranno in pochi a considerarlo un martire. Molti pachistani, yemeniti e afghani si limiteranno a scrollare le spalle e andranno avanti”.
    Resta da capire se il blitz di Abbottabad, che secondo indiscrezioni ha fatto gioire in molti nei palazzi sauditi, sia servito a raccogliere informazioni utili per smembrare ulteriormente la rete jihadista. Al Qaida, per quanto marginalizzata dalle sollevazioni della “primavera araba”, non ha certo dismesso la sua rete: il numero due di Bin Laden, l'egiziano Ayman al Zawahiri, è ancora a piede libero, l'imam Anwar al Awlaki mantiene salda la roccaforte yemenita e le cellule del nord Africa sono pronte a raccogliere i frutti della destabilizzazione politica del maghreb.

    A dare il polso della virulenza latente
    sono i messaggi comparsi nel sottobosco dei forum islamisti, dove si chiede di rilanciare il jihad e si ammonisce: “Aspettate e vedete, la morte di Osama bin Laden si rivelerà una benedizione arrivata sotto false vesti. Americani, ricordatevi che è ancora legale per noi tagliarvi il collo”.

    Il presidente afghano, Hamid Karzai, non s'è fatto sfuggire l'occasione per lanciare un avvertimento ai talebani, che ricominciano in questi giorni la stagione dei combattimenti più sanguinari: “Dovrebbero imparare la lezione e astenersi dalla lotta”, ha detto Karzai, prima di rivoltare la notizia della morte di Bin Laden anche contro gli americani: “La lotta contro il terrorismo va fatta contro le sue risorse finanziarie, i suoi santuari, i suoi campi d'addestramento, quindi non in Afghanistan”. Il richiamo di Karzai si allinea alla posizione dell'Iran, un paese che in alcuni teatri, tra cui lo Yemen, ha accantonato scrupoli di natura sciita per schierarsi a fianco dei sunniti di al Qaida: “Ora gli Stati Uniti e i loro alleati non hanno più alcuna scusa per schierare i loro eserciti in medio oriente, col pretesto di combattere il terrorismo”, ha detto il ministero degli Esteri di Teheran.