Al Qaida 2.0 - I possibili successori di Osama

La morte di Bin Laden non ferma l'internazionale del terrorismo islamico

Luigi De Biase

La morte di Osama bin Laden toglie ad al Qaida il suo fondatore, la grande guida spirituale capace di unire l'internazionale del terrorismo islamico sotto una sola insegna, ma non annienta la sua organizzazione, una rete che stringe il mondo musulmano dal deserto della Mauritania alle coste dell'Indonesia.

    La morte di Osama bin Laden toglie ad al Qaida il suo fondatore, la grande guida spirituale capace di unire l'internazionale del terrorismo islamico sotto una sola insegna, ma non annienta la sua organizzazione, una rete che stringe il mondo musulmano dal deserto della Mauritania alle coste dell'Indonesia. Bin Laden è stato l'unico leader di al Qaida, ha ispirato la sua dottrina e gli attacchi più clamorosi avvenuti negli ultimi vent'anni: i suoi proclami hanno nutrito migliaia di mujaheddin ben allenati alla guerra contro l'occidente.

    L'uomo più in vista è Ayman al Zawahiri, il medico egiziano considerato a lungo il numero due di al Qaida. Secondo gli esperti dell'intelligence americana Zawahiri continua a essere uno dei punti di riferimento nella gerarchia della rete, ma non sarà l'erede di Bin Laden: gli manca il carisma necessario per tenere insieme gli arabi del Golfo, che forniscono uomini, armi e soldi all'esercito islamista.

    E' più credibile l'ascesa di Anwar al Awlaki, il capo di al Qaida nella Penisola araba, una delle cellule più micidiali e meglio nascoste dell'organizzazione. Al Awlaki è nato nel New Mexico e ha speso la gioventù in viaggio fra gli Stati Uniti, l'Afghanistan e lo Yemen, il paese d'origine della sua famiglia (il padre è stato ministro a Sana'a). E' lì che si nasconde oggi: i suoi sermoni hanno sedotto i kamikaze dell'11 settembre così come Nidal Malik Hasan, il maggiore dell'esercito americano che, nel 2009, ha ucciso tredici colleghi in una base del Texas – lo ha fatto gridando “Allah Akhbar”, Allah è grande. Al Awlaki è uno dei predicatori più popolari fra le giovani reclute di al Qaida. La sua capacità di raggiungere e di conquistare fedeli in occidente è considerata una minaccia enorme dalla Cia e dalle agenzie di intelligence europee: anche per questo, i vertici militari di Washington ritengono che lo Yemen sia in cima alla lista dei pericoli per la sicurezza nazionale.

    Questa cellula avrebbe tentato più volte di colpire gli Stati Uniti, l'ultima il giorno di Natale del 2009, quando uno studente nigeriano partito da Sana'a cercò di farsi esplodere su un volo diretto a Detroit.
    Al Awlaki non è certo l'unico possibile successore di Bin Laden. Con lui ci sono Abu Yahya al Libi, il leader del Gruppo di combattimento islamico della Libia fuggito dal carcere di massima sicurezza di Bagram, in Afghanistan, nel 2005, che oggi è sulla lista dei più ricercati dal Pentagono; Ilyas Kashmiri, un veterano della guerra in Afghanistan, lo stesso uomo che ordinò di uccidere l'autore delle vignette su Maometto pubblicate nel 2005 dal quotidiano danese Jyllands-Posten; e il comandante talebano Sirajuddin Haqqani, un punto di collegamento fra le milizie afghane e i servizi segreti del Pakistan (Isi). L'elenco comprende anche Qari Rahman e Nazir Ahmad. Tuttavia, dice Paul Cruickshank del Center on Law and security della New York University, nessuno può competere con il carisma di Bin Laden. “Dentro l'organizzazione convivono tante forze centrifughe – spiega l'analista – Bin Laden era il fulcro, era l'uomo in grado di tenere uniti combattenti che avevano piani diversi”.

    Al Qaida, oggi, è una creatura completamente diversa rispetto a quella che gli americani hanno cominciato a combattere dieci anni fa, quando il capo della Casa Bianca era George W. Bush. La struttura si è allargata, l'organizzazione ha stabilito contatti con milizie che combattono nel Maghreb, in Somalia, in Cecenia e in Afghanistan, ha fornito loro supporto militare e spirituale nella lotta contro gli Stati Uniti e contro i loro alleati – soprattutto quelli musulmani. Bin Laden è stato il denominatore comune del jihad, ma la morte di questo enorme simbolo del terrore non implica la fine di al Qaida e delle sue azioni.

    Alla vigilia dell'operazione nella quale è stato ucciso Bin Laden, Washington ha ritirato la maggior parte del personale diplomatico dal Pakistan e dall'Afghanistan e ha alzato l'allerta per i cittadini che si trovano all'estero: la Cia teme una vendetta contro obiettivi americani. Per Syed Saleem Shahzad della rivista web Asia Times, uno dei più grandi esperti al mondo di terrorismo islamico, al Qaida era pronta da tempo all'uccisione del leader. La controffensiva è stata messa a punto nel villaggio di Mir Ali, al bordo fra Pakistan e Afghanistan, dove i vertici della rete hanno già avuto diversi incontri. Il primo passo è colpire il Pakistan, che – secondo i qaidisti – avrebbe contribuito al raid nel quale è stato ucciso Bin Laden: Islamabad potrebbe diventare il bersaglio numero uno dei terroristi.