La vendetta, legge della frontiera che l'America ha e l'Europa teme
"Justice has been done”, giustizia è fatta: rimarranno queste parole a simbolo dell'America che con determinazione feroce ha rincorso nel tempo, braccato sulla terra e infine giustiziato lo scellerato che aveva osato entrare nella sua casa e trucidare i suoi figli. E' l'America dei “pale rider”, di quella cultura che crede che la giustizia sia un dovere e la vendetta gioia liberatoria. E' la condizione che permette a una società aperta di sopravvivere e di rafforzarsi, è il riaffermare lo spirito della frontiera su cui riposa parte della grandezza americana e che l'Europa non ha mai conosciuto e per questo dileggia o teme.
"Justice has been done”, giustizia è fatta: rimarranno queste parole a simbolo dell'America che con determinazione feroce ha rincorso nel tempo, braccato sulla terra e infine giustiziato lo scellerato che aveva osato entrare nella sua casa e trucidare i suoi figli. E' l'America dei “pale rider”, di quella cultura che crede che la giustizia sia un dovere e la vendetta gioia liberatoria. E' la condizione che permette a una società aperta di sopravvivere e di rafforzarsi, è il riaffermare lo spirito della frontiera su cui riposa parte della grandezza americana e che l'Europa non ha mai conosciuto e per questo dileggia o teme. Il terrorismo è per definizione una questione simbolica: nessuno che abbia praticato o pratichi questa forma di deterrenza del debole nei confronti del forte, di ricatto della minoranza nei confronti della maggioranza, può ragionevolmente pensare che basti a piegare una società, a fiaccarne la volontà, a intaccare il suo comune sentire, a disarticolare l'organizzazione del potere, in una parola a vincere.
Non lo pensavano nemmeno gli anarchici che terrorizzarono le monarchie europee del secolo scorso: anche loro erano consapevoli che ucciso il re, ucciso lo zar, altri ne avrebbero preso il posto. L'assassinio politico dunque non è mai stato mezzo di trasformazione materiale della realtà ma soltanto allusione simbolica, attimo e immagine folgorante che mostra una liberazione possibile e subito scompare come un flash nella notte. L'apice, il simbolo più tragicamente luminoso della potenza di un movimento terroristico, contiene in sé anche le ragioni della sua debolezza e della sua inevitabile sconfitta, poco importa quanto sia lunga, sanguinosa, spettrale la coda. Una volta che ha messo il nemico in ginocchio e constatato che è capace di rialzarsi reagire e rafforzarsi, il terrorismo non sa fare altro che riproporsi in modo compulsivo e sempre più impotente. E' stato così sotto tutti i cieli e in tutte le epoche, anche quando i fenomeni non sono nemmeno lontanamente comparabili. In Italia, per tutti gli anni Settanta, il partito armato colpisce nel mucchio dell'organizzazione statale, poliziotti, funzionari, magistrati, figure politiche di secondo piano, sindacalisti prima di dispiegare la massima potenza in via Fani, sequestrando Aldo Moro e uccidendo gli uomini della scorta. Prima dell'11 settembre 2001, Bin Laden ha già colpito più volte ma è con l'attacco alle due torri, nel cuore finanziario della superpotenza, che irrompe sulla scena internazionale e penetra nell'immaginario delle folle musulmane.
Due eventi catastrofici che prendono di sorpresa l'Italia di allora e gli Stati Uniti di oggi, anche se entrambi hanno avuto qualche sinistro segnale su cui riflettere. Le democrazie, per il modo stesso in cui funzionano, possono avere momenti di cecità. Nello sgomento però entrambi prendono consapevolezza del pericolo e reagiscono. Con questa differenza: che l'America ha cercato in modo forsennato l'immagine positiva, che richiudesse la parentesi qaidista e ne decretasse simbolicamente la fine. Ci ha messo dieci anni ma è riuscita nell'impresa. L'Italia no. Nella cultura della vecchia figlia della vecchia Europa non c'è la chiusura dei conti, non c'è la determinazione a punire in modo esemplare: l'Italia un po' punisce, un po' sorveglia, un po' perdona, un po' dimentica. La fine della cosiddetta lotta armata endogena è in chiaroscuro, parole in eccesso e bolse di retorica che non assurgono perciò a valore di simbolo e non restano nella memoria. Le immagini sono confuse, sovrapposte, non hanno il nitore sinistro di quelle che illustrano la fase montante del terrorismo, l'autonomo che con il volto coperto dal passamontagna impugna la pistola a braccia tese, solo, in una strada di Roma, quella via Fani o della R4 in via Caetani dove fu ritrovato il corpo di Moro.
Non ci sono immagini altrettanto forti che scandiscono la fine del terrorismo. Quando le teste di cuoio del generale Dalla Chiesa fanno irruzione in un appartamento di via Fracchia, a Genova, e crivellano di colpi nel sonno cinque brigatisti, azione premeditata e spietata ma politicamente intelligente, la scena rimane inaccessibile a giornalisti e fotografi per molte settimane: l'Italia che decide di “terrorizzare i terroristi” vuole che tutti sappiano ma che nessuno veda. Possiamo immaginare invece cosa l'America avrebbe saputo costruire attorno a un simile successo della forza legittima, come avrebbe saputo trasformare un'esibizione spudorata in riaffermazione di sé, in simbolo potente cioè in storia, come le foto del Marshall in bella posa con il cadavere del fuorilegge ai piedi, come Dillinger riverso sul selciato, senza nemmeno la pietà del lenzuolo bianco. Sappiamo anche che l'America sa affrontare il clima di paura e non teme rappresaglie e ritorsioni: anzi, il pericolo la rende più determinata a chiamare le cose con il loro nome, nemici i nemici, tortura la tortura ed esecuzione un'esecuzione. Se l'Italia del tempo avesse voluto fare dei morti di via Fracchia il simbolo della propria forza, possiamo solo immaginare come avrebbero reagito tanti intellettuali, la sinistra da centro storico, i moralisti al tartufo bianco: spettacolo inverecondo, nauseante. Per questo non c'è un'immagine che chiuda davvero i cosiddetti anni di piombo, un simbolo che scoraggi sprovveduti imitatori, un'immagine che ci faccia dire ebbene sì, questi siamo noi, paese civile, tollerante ma feroce nella difesa di alcuni principi. Per questo quella stagione luttuosa è arrivata fino agli albori del millennio e sembra che covi ancora sotto la cenere, per questo sembra che il passato risucchi indietro il presente. Per questo si gioca con le parole, missione armata sì ma umanitaria, un po' di guerra ma non del tutto, viva la piazza araba che chiede democrazia e non fondamentalismi. Per questo applaudiamo sempre in modo tiepido e con riserva mentale i successi dell'alleato potente, proprio come fanno i francesi. Bravi sì, ma dai, in fondo quel Bin Laden non contava più nulla, era politicamente moribondo. Per questo l'hanno venduto e chissà poi chi l'avrà venduto.
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