Le sure di Osama bin Laden

Giulio Meotti

Nell'annunciare la grande operazione che ha portato alla morte del capo di al Qaida, il presidente americano Barack Obama ha affermato: “Osama bin Laden non era un leader islamico”. Obama ha ragione quando ricorda che il leader terrorista ha seminato morte e macerie soprattutto fra i musulmani (delle 40 mila persone uccise per mano di al Qaida in vent'anni gran parte erano civili islamici).

    Nell'annunciare la grande operazione che ha portato alla morte del capo di al Qaida, il presidente americano Barack Obama ha affermato: “Osama bin Laden non era un leader islamico”. Obama ha ragione quando ricorda che il leader terrorista ha seminato morte e macerie soprattutto fra i musulmani (delle 40 mila persone uccise per mano di al Qaida in vent'anni gran parte erano civili islamici). Ma il piede di Bin Laden affondava molto addentro alla tradizione jihadista che è parte integrante della storia primigenia dell'islam. Ieri Hamas, da Gaza, ha pianto Bin Laden come “guerriero santo”. Affermare che Bin Laden non c'entra nulla, ma proprio nulla, con l'islam significa negare che nell'islam sia in corso una guerra teologica devastante. Significa prediligere la seconda risposta della celebre domanda posta dal grecista americano Victor Davis Hanson: “I terroristi di al Qaida sono impegnati in una guerra per distruggere la cultura occidentale oppure sono soltanto una banda di criminali a cui è andata bene l'11 settembre?”.

    I movimenti jihadisti oggi si rifanno intenzionalmente ai combattenti jihadisti del passato, e di continuo rievocano le loro gesta. Tutti i bollettini di Bin Laden ricalcavano detti sapienzali islamici. “Oh Allah, sconfiggi il politeismo e i politeisti, esibisci al mondo la bandiera del monoteismo, punisci i pervertiti”, recitava un proclama di al Qaida contro le elezioni in Iraq nel 2004. Fonte: un detto di Ibn al Mawsiliayah dell'XI secolo: “Oh Allah, innalza il vessillo dell'islam e sconfiggi il politeismo”. Gli Hadith (le sentenze del Profeta), la Sunna (la tradizione) e il Corano medesimo parlano di tolleranza e fratellanza, della protezione di vedove e orfani, dell'obbligo dell'elemosina, della giusta spartizione del bottino e dello “sforzo” di capire l'Altro. Ma i rivoluzionari qaidisti e gli islamisti attingono a piene mani anche dal bagaglio di guerra e sottomissione che risuona, con vigore, dal grande libro sacro.

    Anche fisicamente si dice che Bin Laden ambisse a emulare i padri dell'islam. Indossava spesso una veste bianca con un leggerissimo mantello color cammello drappeggiato sulle spalle. Parlava con una voce monotona, soporifica, agitando l'indice lungo e ossuto. Tramite messaggi in falsetto Bin Laden si rivolgeva ai giovani islamici dall'Asia Minore al Golfo e al Subcontinente indiano. Il magnifico saggio di Steve Coll “The Bin Ladens” ci trasmette un uomo che ripeteva come i versetti del Corano andassero recitati nelle mani a coppa e sfregati sul proprio corpo, così che il loro potere potesse essere, letteralmente, incorporato.

    Ai suoi fedelissimi, nascosti nelle grotte di Tora Bora, la “montagna bianca” composta da cunicoli scoperti nell'antichità e riutilizzati durante l'invasione sovietica dell'Afghanistan, Bin Laden era solito ripetere dal Corano “la sura della caverna”. Parla di sette pastori che, non volendo abiurare la fede, preferirono essere murati vivi dentro una grotta situata nell'odierna Turchia. Secondo la leggenda, tre secoli dopo la grotta fu scoperta e i dormienti si risvegliarono, convinti di aver dormito una sola notte. Bin Laden faceva leva sulla costellazione d'immagini che la caverna evoca nei musulmani per sostenere la resistenza fra quelle grotte formate da quarzi straordinariamente duri. Come ha spiegato Lawrence Wright nel libro “Le altissime torri” (Adelphi), Bin Laden diceva che “in questa guerra “i credenti sono aiutati dalle mani invisibili degli angeli” e che “i corpi dei martiri non si decompongono, ma rimangono puri e odorosi”.

    “Uccidere gli idolatri ovunque si trovino” e “combattere coloro che non credono in Dio finché non paghino il tributo uno per uno” sono soltanto due fra i tanti versetti del Corano citati nei discorsi del capo di Al Qaida. Alcuni studiosi islamici spiegano queste ingiunzioni dicendo che valgono soltanto nel caso di una guerra iniziata dagli “infedeli”, o quando i musulmani sono perseguitati, o l'islam stesso si trova minacciato. Ma quel che conta è che Bin Laden e gli islamisti radicali fossero persuasi che il jihad non finisce mai. La vita e la morte di Osama bin Laden sono il frutto dell'esaltazione islamista della morte a scapito della vita.

    Nel manifesto del 1995 con il quale ruppe con la casa reale Saud, Bin Laden costruì il suo ragionamento legalistico tutto sul Corano e sui commentari dei dotti islamici, secondo i quali un re può essere tacciato di essere un “infedele”. Agli occhi di Bin Laden, il fatto che il re saudita tollerasse leggi fatte dall'uomo e la presenza di truppe infedeli dimostrava che il sovrano era apostata e andava rovesciato. L'anno dopo, sul giornale londinese Al Quds al Arabi, uscì il testo della fatwa emessa dal “Fronte islamico internazionale per il jihad contro gli ebrei e i crociati”. La lettera era firmata da Bin Laden (a titolo individuale); Ayman al Zawahiri in quanto leader del gruppo egiziano al jihad che aveva ucciso Anwar al Sadat; da Rifai Taha in quanto leader del Gruppo islamico; dallo sceicco Mir Hamzah, segretario della pakistana Jamiat-ul-Ulema; da Fazlur Rahman, capo della pakistana Harakat al Ansar; e dallo sceicco Abd as Salam Mohammed Khan, leader di Harakat al jihad (Bangladesh).
    Bin Laden aveva due nemici principali. Gli ebrei, che definiva “assassini dei profeti”, e la democrazia (“la sharia è superiore a un pezzo di carta che si presenta come il consiglio del popolo”). Anche per giustificare l'attacco alle Torri gemelle di New York, Bin Laden usò un versetto del Corano. E' la quarta sura, che recita: “Dovunque siate vi coglierà la morte, anche se foste su altissime torri”.

    Bin Laden esortò i diciannove suicidi a farsi martiri, a rinunciare alle vite così promettenti che li attendevano per la gloria più grande in serbo per loro. “Sono oltre venti anni che siamo nella bocca del leone”, dirà loro Bin Laden. “Grazie alla misericordia e al favore di Allah: i missili Scud russi ci hanno dato la caccia per più di dieci anni, e i missili da crociera americani ci hanno perseguitato per altri dieci anni. Il credente sa che l'ora della morte non può essere né affrettata né ritardata”.

    Credeva in un sanguinario conflitto destinato a concludersi con l'egemonia dell'islam. Per citare le parole di Bin Laden, i combattenti jihadisti di tutto il mondo stanno lottando “affinché la parola e la religione di Allah regnino supreme”. Il che comporta il ripristino totale della legge islamica nei paesi musulmani e soprattutto la restaurazione del califfato. Il califfo era il successore di Maometto e la massima autorità della comunità musulmana, finché nel 1924 il governo secolare del turco Atatürk non abolì il califfato. Seguendo l'esempio del Profeta, Osama bin Laden, nella sua “lettera al popolo americano” datata novembre 2002 chiamò gli americani a convertirsi all'islam: “A cosa vi stiamo chiamando e cosa vogliamo da voi? In primo luogo vi stiamo chiamando all'islam, così che la parola e la religione di Allah regnino supreme”.

    Lo stesso grido che è diventato un po' il sigillo funebre del qaidismo (“gli americani amano la Pepsi Cola, noi amiamo la morte”) Bin Laden lo ha tratto dal Corano, capitolo XIV, terzo versetto: “Coloro che amano questa vita più dell'altra frappongono ostacoli sul sentiero di Allah e cercano di renderlo tortuoso! Sono infossati nell'errore”. Dalla raccolta degli scritti di Al Qaida fatta dal politologo francese Gilles Kepel – stralci di libri, nastri, lettere e documenti pubblicati da Laterza con il titolo “Al Qaeda. I testi”– si capisce come per Osama bin Laden esistesse un complotto giudaico nella storia che ha inizio nell'opposizione delle tribù ebraiche d'Arabia al Profeta. Ebrei e crociati: la loro sconfitta farà crollare i “regimi apostati”, permetterà di ristabilire l'islam purificato e porterà la luce della rivelazione nel mondo alla fine dei giorni. Un dato sconcertante ma sempre trascurato è che né Bin Laden né i suoi seguaci hanno mai chiarito la visione che seguirebbe la vittoria. La loro guerra non è uno scontro terreno, il suo compimento coincide con la conflagrazione della fine dei tempi. Lo scontro non è logico, è teologico.

    Lo sceicco saudita, il teologo palestinese Azzam, il medico egiziano Zawahiri e lo sgozzatore giordano Zarkawi sono tutti accomunati dalla convinzione, feroce e assoluta, di essere la faccia vera dell'islam, di aver letto in maniera corretta il Corano e interpretare secondo coerenza il volere di Allah. Bin Laden ha giustificato il jihad attraverso la ragion pura coranica. Dalle trincee afghane annunciava: “Noi amiamo la morte sulla via di Dio quanto voi amate la vita, non temiamo niente, anzi speriamo una morte simile”. Si credeva impeccabile esegeta della verità coranica e considerava tutto il resto del mondo, fosse laico-pagano oppure giudaico-cristiano, come una “pura empietà”. Guardava alla concretezza del risultato (“il califfato ben guidato”), invitava alla menzogna (“consiglio di fare ricorso alla dissimulazione”) in nome di una strategia che dice di “attaccare gli infedeli nel loro paese” e “espellere gli infedeli dai nostri paesi”. Il modello fu sempre Maometto, l'abile carovaniere forte di spada.

    La sua lettera alla famiglia è il testamento di un guerriero: “Mogli mie, avete saputo fin dal primo giorno che la strada è irta di spine e di mine e avete rinunciato ai piaceri della vita, scegliendo gli stenti che comporta il vivere al mio fianco”. Bin Laden aveva pensato anche la sua stessa morte tramite il racconto coranico sacro. Era solito ripetere che, nel momento del trapasso, la sua anima di “martire” sarebbe stata afferrata da Azra'il, l'angelo della morte, accompagnato da ronzio d'api e cinguettio di uccelli, e portata davanti a chi l'avrebbe avviato al regno dei morti. L'anima avrebbe percorso un ponte “più affilato di una spada”. Gli infedeli sarebbero precipitati, i credenti avrebbero raggiunto il “Bacino del Profeta”, la sponda dove dimoreranno in eterno. E il martire sarebbe entrato in Paradiso. Ad accoglierlo, le acque zampillanti di un fiume che avrebbe estinto per sempre la sua sete.

    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.