L'ombra di Bin Laden in Palestina

Giulio Meotti

Dalla Striscia di Gaza, il premier di Hamas Ismail Haniyeh ha condannato come un crimine americano l'uccisione di Osama bin Laden, definendolo “combattente della guerra santa musulmana”. Per il premier islamico palestinese, la fine di Bin Laden va giudicata come “un assassinio”.

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    Dalla Striscia di Gaza, il premier di Hamas Ismail Haniyeh ha condannato come un crimine americano l'uccisione di Osama bin Laden, definendolo “combattente della guerra santa musulmana”. Per il premier islamico palestinese, la fine di Bin Laden va giudicata come “un assassinio”. E ancora: “Chiediamo a Dio di offrirgli misericordia con i veri credenti e i martiri”, ha scandito il leader di Hamas. Anche a Gerusalemme est, dove Hamas ha un bastione di grande consenso e militanza, si sono viste scene di cordoglio per Bin Laden. A piangere Osama bin Laden è intervenuto pure un esponente islamico della Knesset, il Parlamento israeliano. Si tratta di Ibrahim Sarsoor della lista araba pro Hamas Ra'am Ta'al, che ha accusato il presidente americano Barack Obama di aver fatto “scorrere sangue arabo-islamico” sotto pressione della “cultura israelo-americana” e soltanto per “essere rieletto”. Bin Laden viene chiamato “sceicco”. “A Obama diciamo: non ci fai paura e vai all'inferno”, come si legge nella lettera di Sarsoor al presidente dell'Anp Abu Mazen. Anche le Brigate di Al Aqsa, braccio armato di Fatah, hanno condannato l'uccisione di Bin Laden “da parte degli infedeli”. Il capo di al Qaida comunque “ha lasciato una generazione educata al jihad”.

    “Hamas e al Qaida provengono dallo stesso sostrato ideologico del jihad globale e della Fratellanza musulmana”, ha detto l'ex ambasciatore israeliano all'Onu Dore Gold, il cui Jerusalem Center for Public Affairs ha pubblicato in passato un rapporto sull'alleanza fra Hamas e al Qaida. “Le due organizzazioni condividono tuttora le stesse infrastrutture finanziarie”. Anche secondo l'esperto di medio oriente Barry Rubin, fra i primissimi analisti a cogliere il cambio di regime radicale al Cairo, “la visione del mondo di Hamas è praticamente identica a quella di Osama bin Laden e del presidente iraniano Ahmadinejad. Hamas è genuinamente convinta, come Bin Laden e Ahmadinejad, che il rapporto di forze non ha alcuna importanza giacché Allah li porterà sicuramente alla vittoria. Gli esponenti di Hamas hanno più volte affermato che non importa quanto possa essere lunga la lotta, né quante persone possano soffrire o morire: importa solo la meta”.

    A rafforzare Hamas ci ha pensato la diplomazia egiziana, sotto la cui protezione oggi si celebra al Cairo l'accordo fra Hamas e Fatah. L'accordo prevede che si preparino nuove elezioni nei Territori palestinesi entro un anno. Israele è “furioso” con l'Egitto soprattutto perché ha invitato alla firma dell'accordo anche la Jihad islamica, il più radicale gruppo terroristico palestinese che ieri ha pianto il “martirio di Bin Laden”. Ci sarà anche una delegazione del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, proprio nei giorni in cui si è arrivati alla confessione dei killer della famiglia israeliana a Itamar da parte di due militanti del Fronte. La delegazione della Jihad islamica palestinese è arrivata lunedì notte al Cairo e a guidarla c'era il dottor Ramadan Shalah in persona, il leader del Jihad da anni rintanato in esilio a Damasco. La presenza del Jihad è considerata un segnale chiarissimo del nuovo corso diplomatico fra Egitto e Iran, rinnovato dopo una crisi lunga trent'anni. Il Jihad è infatti una creatura diretta di Teheran, che lo foraggia in armi e mezzi. A marzo il Jihad islamico palestinese aveva rivendicato i principali lanci di missili sulle città nel sud d'Israele. Della galassia terroristica è il gruppo più legato agli Hezbollah libanesi, alla Siria e all'Iran. Il movimento terroristico palestinese nacque nel 1979 proprio da una scissione di studenti palestinesi ospitati in Egitto dalla grande famiglia dei Fratelli musulmani, protagonisti della politica egiziana dopo la caduta di Mubarak.

    A fondare il Jihad islamico palestinese è stato Fathi Shikaki, un medico che s'innamorò della rivoluzione iraniana dell'ayatollah Khomeini e che scelse la Striscia di Gaza come base per lanciare una campagna terroristica contro Israele fin dagli anni Ottanta, quando ancora Hamas doveva nascere. Il fratello del fondatore, Khalil Shikaki, insegna tutt'oggi Scienze politiche alla An Najah University di Nablus, in Cisgiordania. Nel 1995 Shikaki venne eliminato si dice da agenti israeliani a Malta, e il suo attuale successore, Ramadan Abdallah Shalah, ex docente di Storia del medio oriente all'Università di Tampa, in Florida, s'installò a Damasco, dove si trova tuttora protetto dal regime di Assad.

    Shalah, che ha ricevuto anche un dottorato in Economia dalla University of Durnham in Inghilterra, coltiva da sempre rapporti speciali con l'islamismo egiziano, essendo stato anche ricercatore all'Università di Al Azhar, il centro mondiale dell'islam sunnita. Il vero padrino del Jihad islamico rimane l'Iran, che garantisce rifugi sicuri e gran parte dei finanziamenti e degli armamenti. Secondo Shalah, “il jihad palestinese è un frutto dell'albero fecondo dell'ayatollah Khomeini”. Dice lo studioso israeliano Meir Hatina che il Jihad islamico “si vede come l'avanguardia della nuova crociata islamica. Il Jihad è sempre stato il ragazzo cattivo della politica palestinese il cui scopo principale è la liberazione di tutta la Palestina. Hamas ha scelto una combinazione di educazione islamica e violenza per la liberazione. Il Jihad islamico si vede come il punto centrale nel confronto fra occidente e islam”. Shalah è stato il primo ad aver teorizzato l'uso della bomba suicida come alternativa agli ordigni nucleari d'Israele e dell'occidente: “Il nostro nemico possiede le armi più sofisticate, noi il martirio. E' facile ed economico, costa soltanto le nostre vite. Le bombe umane non possono essere sconfitte, neanche da quelle nucleari”.
    Assieme a Shalah al Cairo per la grande riconciliazione ci sarà anche il leader di Hamas in esilio, Khaled Meshaal, mentre per parte egiziana ci saranno il ministro degli Esteri Nabil Elaraby, il capo dell'intelligence Murad Muwafi e il segretario della Lega araba candidato alla presidenza egiziana Amr Moussa. Il nuovo capo della diplomazia egiziana è già stato invitato per una visita di stato a Teheran, con cui ha appena riallacciato relazioni diplomatiche interrotte nel 1979.

    Dopo l'accordo palestinese di riconciliazione si parla già di esautorare l'attuale premier palestinese Salam Fayyad, il tecnocrate giudicato da Hamas troppo vicino ai donatori internazionali, Stati Uniti in testa. Da Gaza il bureau di Hamas fa sapere che “Fayyad sarà anche professionale, ma non è il suo momento per fare il primo ministro”. Hamas aveva in passato chiamato Fayyad “lacchè dell'occidente”. In cima alla lista dei candidati a prendere il posto di Fayyad c'è Abu Amr, che piace ad Hamas.

    Come Hamas, anche i Fratelli musulmani dall'Egitto hanno condannato l'“assassinio” di Bin Laden. Al Cairo si consolida il potere elettorale e politico della potente confraternita, che ieri ha annunciato: “Conquisteremo il cinquanta per cento dei seggi del Parlamento”. Alla fine forse saranno meno, ma l'annuncio è emblematico della fiducia riposta dagli islamisti egiziani. Intanto il ministro della Giustizia egiziano, Mohammed el Guindi, per la prima volta dalla caduta del regime a febbraio annuncia: “Mubarak potrebbe essere condannato a morte”.

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    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.