Ne ha cinque scatole piene
L'ex icona dell'antimafia adesso rimescola le carte
Quello che sarà sentito oggi, a Palermo, nel processo al generale Mauro Mori, è un Massimo Ciancimino molto diverso da quello che, lo scorso giovedì santo, viaggiava verso un fine settimana pasquale a Saint-Tropez. La corsa dell'“icona dell'antimafia” (definizione di uno dei pm che lo interrogherà oggi, Antonio Ingroia), si è fermata tra Parma e Fidenza, per via di una patacca formidabile.
Leggi La versione di Mori - Leggi Non silenziate lo scandalo di stato
Quello che sarà sentito oggi, a Palermo, nel processo al generale Mauro Mori, è un Massimo Ciancimino molto diverso da quello che, lo scorso giovedì santo, viaggiava verso un fine settimana pasquale a Saint-Tropez. La corsa dell'“icona dell'antimafia” (definizione di uno dei pm che lo interrogherà oggi, Antonio Ingroia), si è fermata tra Parma e Fidenza, per via di una patacca formidabile: la sua lista del “quarto livello” della trattativa stato-mafia era frutto di un banale copia-incolla.
Il figlio di don Vito è un falsario o, come ha subito suggerito Ingroia, è manovrato da un “puparo”? Quando la procura palermitana ha fissato per oggi la sua convocazione al processo Mori, c'erano già abbastanza grattacapi – non ultimo, l'imbarazzo per 13 candelotti di dinamite rinvenuti nel giardino di Ciancimino Jr., con tanto di miccie e detonatori. Ma sabato, in tre ore d'interrogatorio, “Massimuccio” ha sparpagliato nuovamente le carte, indicando ai pm uno sgabuzzino dove avrebbero trovato cinque scatoloni di documenti del padre. Sono gli originali che diceva essere custoditi in una cassetta in Liechtenstein, rivelatasi poi inesistente? Lo stabilirà la polizia scientifica – la stessa che ha ritenuto attendibili i documenti fotocopiati di cui il generale Mori, in aula, ha facilmente svelato la falsità – ma ci vorrà del tempo (don Vito era un grafomane).
Nei verbali dell'interrogatorio di sabato, depositati ieri, Ciancimino Jr. cambia versione sui candelotti di dinamite, per poi ribadire le sue accuse all'ex capo della polizia, Gianni De Gennaro, e confessare di aver ricevuto i documenti sequestrati da un nuovo personaggio misterioso, di cui fa il nome ai pm. L'uomo avrebbe avvicinato “Massimuccio” il 20 aprile 2010, durante la presentazione del libro “Don Vito” (Feltrinelli 2010), al palermitano Palazzo Steri. E il “puparo” è servito.
Nel frattempo, i pm palermitani hanno tenuto una “Notte per la Costituzione”, nell'aula magna del Palazzo di Giustizia. Alla veglia, venerdì sera, hanno partecipato Ingroia e il procuratore capo Francesco Messineo. A fare gli onori di casa c'è Antonino Di Matteo, presidente dell'Anm di Palermo, che intavola sobriamente la discussione: “Il disegno di legge costituzionale di riforma della giustizia ci preoccupa: oggettivamente, in larga parte, ripercorre il piano di rinascita democratica di Licio Gelli della P2”, dice Di Matteo, che strappa applausi arruolando, contro la separazione delle carriere di giudice e pm, Paolo Borsellino e Giovanni Falcone (che, a onore del vero, si era detto più che favorevole a una divisione). Ingroia rincara: “La riforma della giustizia mira al cuore della Costituzione”. L'aula magna è piena e Ingroia, che auspica una “nuova resistenza costituzionale”, ringrazia: “Vi state stringendo attorno a noi, non soltanto da morti, ma anche da vivi.
Perché, lo sappiamo, dalla politica e anche da altri vertici istituzionali, gli apprezzamenti ai magistrati vengono soltanto quando sono morti”. Messineo interviene per ricordare che parlare di “riforma della giustizia è quantomeno un'improprietà terminologica”. Tutto questo nella procura che sta processando lo stato, per una presunta trattativa con la mafia.
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