Bidone Espresso
Un falso. Una messinscena. Perché quel Raffaello visionario, che mostra il profeta Ezechiele in estasi davanti a Dio e agli evangelisti, è una patacca. Una copia, dipinta dopo la morte del maestro, che non merita mostre, mega-cataloghi o tesi di laurea”. Così, senza incertezze, l'ultimo numero dell'Espresso ha liquidato, con copertina e sei pagine di apertura, la “Visione di Ezechiele” esposta a Palazzo Pitti. A firmare lo scoop è il caposervizio attualità, Tommaso Cerno, nato a Udine.
Un falso. Una messinscena. Perché quel Raffaello visionario, che mostra il profeta Ezechiele in estasi davanti a Dio e agli evangelisti, è una patacca. Una copia, dipinta dopo la morte del maestro, che non merita mostre, mega-cataloghi o tesi di laurea”. Così, senza incertezze, l'ultimo numero dell'Espresso ha liquidato, con copertina e sei pagine di apertura, la “Visione di Ezechiele” esposta a Palazzo Pitti. A firmare lo scoop è il caposervizio attualità, Tommaso Cerno, nato a Udine.
Che c'entra? C'entra, perché ha insegnato per qualche tempo a Udine, come ricercatore di Storia dell'arte, la fonte di Cerno, Roberto De Feo. Ex allievo di Vittorio Sgarbi, De Feo ha raccontato all'Espresso che l'autentica “Visione di Ezechiele” di Raffaello si troverebbe non già a Palazzo Pitti, bensì nelle mani di un misterioso collezionista ferrarese (come Sgarbi: la topografia conta), il quale nel 2008 avrebbe incaricato un intermediario di contattare De Feo, perché smascherasse il falso Raffaello. Lo stesso De Feo, annuncia l'Espresso, narra le peripezie del dipinto – da lui ricostruite dopo tre anni di studi e ricerche – in un saggio di sessanta pagine, “riletto in controluce da Gianfranco Fiaccadori dell'Università di Milano e già discusso all'Accademia di Raffaello di Urbino”. Pagine che “stanno per trovare il sigillo dell'Accademia dei Lincei”, nella cui prossima seduta l'ex direttore della Normale di Pisa, Salvatore Settis, dovrebbe presentarle.
E già qualcosa non torna, nell'intreccio di questo “Codice Raffaello” (titolone dell'Espresso) degno di Dan Brown. In attesa di capire che cosa vi abbia visto Fiaccadori “in controluce”, il professor Settis ha precisato che il saggio di De Feo non solo non l'ha letto, ma nemmeno ha deciso se e quando sarà presentato ai Lincei, visto che la conferma della sua attendibilità “toccherà all'Accademia, e non a un singolo socio quale io sono”. Non basta. In un'intervista ad affaritaliani.it, due giorni fa, Vittorio Sgarbi ha rivelato di aver “favorito una burla” contro il settimanale: “Quello che l'Espresso definisce un falso, è invece un'opera vera.
Mentre il vero falso è quello che il mio allievo, lo studioso veneziano Roberto De Feo, ha trovato due anni fa, guarda caso, a Ferrara, la mia città”. Con il Foglio, Sgarbi rincara la dose: “Ma come si fa a fidarsi di un simpatico dandy, autore di saggi sul paesaggista settecentesco Bernardino Bison, senza verificare le sue affermazioni con i veri esperti di Raffaello? Ce ne sono almeno dieci, tuttora consultabili e autorevolissimi”. De Feo, per esempio, ha detto all'Espresso che il “falso” Raffaello di Palazzo Pitti è dipinto su rovere, mentre l'urbinate usava solo pioppo, e il dipinto del collezionista ferrarese è proprio su pioppo. “Ma anche quello che sta a Firenze è su pioppo, come ha spiegato Alessandro Cecchi, grande studioso di Raffaello e direttore di Palazzo Pitti”, dice Sgarbi.
Congiura di baroni e della “lobby dei grandi musei” contro l'eroico ricercatore precario a 47 anni, bistrattato dalla “sgangherata università italiana”, come ha scritto Cerno? Sgarbi ridacchia e spiega che la presunta “vera” “Visione di Ezechiele” dell'anonimo collezionista ferrarese è una copia “piuttosto bamboleggiante, priva di disegno”, dipinta un quarto di secolo dopo la morte di Raffaello, certamente da un artista di scuola emiliana. La patacca non è a Palazzo Pitti, insomma, ma in copertina, sull'Espresso.
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