Mariarosa Mancuso a Cannes 2011
Film sofisticati nella forma e spaventosi nella sostanza (e un po' di nudo)
Prendete la ragazzina con le trecce di “Orphan”. Aggiungete il ragazzino diabolico di “Joshua”. Ci sta bene anche la scolaretta con le trecce di “Il giglio nero”. Aggiungete i pannolini portati fino a un'età molto avanzata, l'abitudine a spiaccicare i panini con la marmellata sulla moquette, una passione per il tiro con l'arco (i genitori, in questo caso, avrebbero dovuto pensare a sport meno violenti).
WE NEED TO TALK ABOUT KEVIN di Lynne Ramsay (concorso)
Prendete la ragazzina con le trecce di “Orphan”. Aggiungete il ragazzino diabolico di “Joshua”. Ci sta bene anche la scolaretta con le trecce di “Il giglio nero”. Aggiungete i pannolini portati fino a un'età molto avanzata, l'abitudine a spiaccicare i panini con la marmellata sulla moquette, una passione per il tiro con l'arco (i genitori, in questo caso, avrebbero dovuto pensare a sport meno violenti). Kevin comincia con un dispettoso dripping di vernice sulle carte geografiche di mamma Tilda Swinton, che per lui ha smesso di viaggiare in paesi esotici e di partecipare a cerimonie sanguinolente. Finisce facendo strage dei compagni di scuola. Ebbene sì. Anche gli assassini di Columbine hanno una mamma, che a cose fatte si chiede: “Dove ho sbagliato?”. Sofisticato nella forma. Spaventoso nella sostanza.
SLEEPING BEAUTY di Julia Leigh, con Rachael Blake, Emily Browning (concorso)
La Black List a Hollywood non evoca solo il senatore Joseph McCarthy. Ne esiste un'altra, che ogni anno classifica le migliori sceneggiature in cerca di un produttore. “Sleeping Beauty” era in buona posizione, qualche anno fa, assieme alla sceneggiatura di “The Beaver” (lo vedremo sulla Croisette tra qualche giorno, diretto da Jodie Foster e recitato da un Mel Gibson sull'orlo di una crisi di nervi). Facile capire perché: una bella ragazza drogata a disposizione di clienti anziani e danarosi ha il suggello artistico di Yasunari Kawabata – “La casa delle belle addormentate” – e abbastanza nudo da far scandalo. Girato da una donna, australiana e scrittrice di romanzi, non lo si può neanche accusare di pornografia. Restano per sconsigliarlo i dialoghi ridicoli (“la tua vagina è un tempio”) e l'effetto soporifero esercitato sullo spettatore.
RESTLESS di Gus Van Sant, con Mia Wasikowska, Henry Hopper (Un certain regard)
Il figlio di Dennis Hopper è tale e quale a papà Dennis, senza la moto e con certe redingote vintage. Come Harold di “Harold e Maude”, adora i funerali e le sagome dei cadaveri disegnate per terra. La sua Maude non ha la crocchia, e neppure l'età da pensione. E' una ragazza vestita anni Trenta con un tumore al cervello e nessun segno esteriore di sofferenza. Mia Wasikowska appare più in forma di quando girava “Alice in Wonderland” accanto a Johnny Depp, e con i capelli corti somiglia in maniera impressionante a Carey Mulligan. Non sembra neanche un film di Gus Van Sant. E invece il nostro insiste, concedendosi zuccherosità da dramma ospedaliero, amori in extremis, moribondi che insegnano a vivere. Glielo si perdona soltanto perché un altro film con soli efebi visti di spalle, dopo “Elephant” e “Paranoid Park”, sarebbe stato troppo.
Il Foglio sportivo - in corpore sano