Scetticismo a Cannes

Mariarosa Mancuso

Su una cosa Woody Allen non ha mai avuto illusioni. Il valore dell'Arte non si misura dai tormenti dell'Artista. Serve più il lavoro artigianale, se non impiegatizio, e contano circostanze ingovernabili come il talento, la fortuna, la cocciutaggine, la dispettosità. Lui dal 1971 gira puntualmente un film all'anno, che abbia o no idee: si mette a tavolino, scrive pagina 1 scena prima, alla fine qualcosa viene fuori.

Leggi tutte le recensioni su Cinema Mancuso

    Su una cosa Woody Allen non ha mai avuto illusioni. Il valore dell'Arte non si misura dai tormenti dell'Artista. Serve più il lavoro artigianale, se non impiegatizio, e contano circostanze ingovernabili come il talento, la fortuna, la cocciutaggine, la dispettosità. Lui dal 1971 gira puntualmente un film all'anno, che abbia o no idee: si mette a tavolino, scrive pagina 1 scena prima, alla fine qualcosa viene fuori. Il gangster di “Pallottole su Broadway”, tra una sparatoria e l'altra riscriveva benissimo dialoghi che alla giovane promessa del teatro erano riusciti orrendi. In “Hollywood Ending” un regista perde la vista e continua imperterrito a lavorare, perché anche la committenza conta qualcosa.

    Il sano scetticismo guida una spassosa incursione di Woody Allen nella Parigi degli anni Venti, dove lo sceneggiatore e aspirante scrittore Owen Wilson finisce dopo aver accettato un passaggio da sconosciuti (al contrario della casalinga Mia Farrow, che nella “Rosa purpurea del Cairo” vedeva scendere dallo schermo l'uomo dei suoi sogni). Una festa mobile dove Ernest Hemingway parla come un manuale di scrittura (un po' anche di autostima per maschi), Salvador Dalí ha la fissa dei rinoceronti, Luis Buñuel vorrebbe girare un film ma non gli viene l'idea giusta, Pablo Picasso ritrae le sue amanti facendole somigliare a un polipo, e tutti si incontrano a casa di Gertrude Stein, 27 rue de Fleurus. Nel mondo reale, Owen Wilson ha una fidanzata già molto stufa di ninfee, bistrot e baguettes, più due futuri suoceri repubblicani, più un amico americano petulante che sa tutto su Versailles.

    Altro sano scetticismo per la seconda idea che regge il film, presentato in apertura del Festival di Cannes (nelle sale francesi esce oggi, da noi verso fine anno). Non ve la diciamo per non svelare la sorpresa. Possiamo svelare però che il regista la ripete almeno un paio di volte di troppo, nell'ora e mezza regolamentare. Deve essere venuta meno qualche scena con Carla Bruni: non c'è traccia delle sequenze al mercatino ortofrutticolo che qualche mese fa erano su tutte le riviste. Ne restano tre, dove Madame Sarkozy fa la guida turistica al Musée Rodin, si impunta su quale delle donne dello scultore era la moglie e quale era l'amante, conferma che si possono avere due amori in contemporanea (“voi francesi in questo siete più avanti”, abbozza l'innocente all'estero). Tramonta la leggenda che sotto la direzione di Woody Allen chiunque riesca a recitare benissimo.

    Conferma il ritrattino tracciato da Woody Allen la Palma d'oro alla carriera Bernardo Bertolucci, che in conferenza stampa dichiara: “Wim Wenders ha fatto un film in 3D, Werner Herzog ha girato un film in 3D, anch'io voglio girare un film in 3D”. Noi a Berlino c'eravamo, con gli occhialini abbiamo visto i capolavori dei venerati maestri: balletto di Pina Bausch filmato, e caverne preistoriche filmate. Soffrendo, perché il cinema sembrava tornato indietro di parecchio. Più o meno alla locomotiva dei fratelli Lumière che arrivava sbuffando in stazione, mentre gli spettatori facevano “oh!” e poi si scansavano.

    Leggi tutte le recensioni su Cinema Mancuso